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Strategie Marketing
15 Maggio 2025 - 21:00
C'è chi torna a casa con una maglietta delle Spice Girls, chi colleziona vinili dei Duran Duran e chi urla in coro “Gli anni d’oro del grande Real” come fosse una preghiera laica. No, non siamo tornati negli anni Novanta. Siamo nell’Italia del 2025, in piena Revival-Era, dove il passato è il prodotto e la nostalgia è la leva che smuove il portafoglio. Perché il ricordo è la nuova moneta del consumo e i guru del marketing lo sanno bene: farci commuovere, anche solo un attimo, vale più di mille slogan.
Il fenomeno ha un nome preciso: nostalgia marketing ed è una strategia pianificata al millimetro, che sfrutta il potere emozionale del passato per piazzare prodotti, eventi, contenuti. E, soprattutto, per incassare. “Si stava meglio prima” è diventato un modello di business.
Quando Pezzali diventa il nuovo Jim Morrison
L'Italia è un caso scuola. La serie sugli 883 ha scatenato un effetto domino. Pezzali è ormai visto come un poeta popolare, capace di riempire stadi evocando motorini, primi amori e “ragazze che sembravano modelle di Vogue”. Il suo pubblico? Quarantenni e cinquantenni che rivivono con occhi lucidi la colonna sonora della propria adolescenza. È lo stesso meccanismo che ha riempito gli spalti per la reunion dei CCCP, ha mandato in tilt la biglietteria per il ritorno dei Guns N' Roses e ha acceso i riflettori sulla possibilità di rivedere insieme gli Oasis. Il punto non è la qualità artistica attuale, ma il peso simbolico. La reliquia emotiva.
Il passato oggi è ovunque. Nelle serie tv, nei remake cinematografici, persino nei gelati. Il Winner Taco è tornato tra i listini Algida, le Polaroid campeggiano sugli scaffali hi-tech, la PlayStation 1 è un oggetto di culto. E poi ci sono i format da sagra vintage: Nostalgia 90, ad esempio, ha invaso le piazze italiane. Musica, remix improbabili, immagini di Maradona, Cobain, Non è la Rai. La formula è semplice: solleticare l’emozione prima ancora del divertimento. La gente balla, ride, canta. Ma soprattutto ricorda.
Nel settore moda, il revival è diventato regola. Louis Vuitton richiama Takashi Murakami per rilanciare le celebri tele multicolor. Dior riparte da Kaws, H&M da Glenn Martens, Dolce & Gabbana flirta con Skims. Le collaborazioni pescano dal vissuto collettivo per rinfrescare il presente senza rischi. Del resto, rimettere sul mercato un brand già conosciuto è meno costoso che inventarne uno nuovo. Il passato vende, rassicura, fidelizza.
Il punto è che questa strategia funziona perché tocca corde profonde. Comprare un vinile, rivedere Lizzie McGuire o riascoltare un vecchio jingle pubblicitario non è un atto casuale: è una forma di rielaborazione emotiva. La nostalgia ci consola, ci fa sentire di nuovo giovani, ci riporta a un tempo percepito come più semplice. La spensieratezza come commodity, insomma. Spiega bene Nidas, agenzia specializzata: «Il passato ci offre un senso di sicurezza e benessere. È un rifugio, una zona di comfort emotivo».
La Disney l’ha capito da tempo. Dal remake di Alice in Wonderland (2010) fino a quello de Il Re Leone (2019), ha macinato miliardi reinventando i classici. Lo fa per i bambini, ma soprattutto per gli ex bambini. Quelli che, oggi adulti, si commuovono in sala davanti a una scena che avevano già visto nel '94.
In una società iper-digitale, instabile e ansiosa, il passato diventa una forma di lusso: è raro, è emotivo, è rassicurante. Ma attenzione alla trappola della mitizzazione. Gli anni Novanta non erano perfetti.
Siamo consumatori di emozioni e clienti della memoria. In un mondo che cambia troppo in fretta, l’unico prodotto che non ci stanchiamo mai di acquistare è quello che abbiamo già vissuto.
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