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Che fine ha fatto “petaloso”?

Neologismi nati per caso e spariti in fretta: l’analisi dell’Osservatorio Treccani

Che fine ha fatto “petaloso”?

Fiore, immagine di repertorio

Alcune parole conquistano l’attenzione pubblica nel giro di pochi giorni. Nascono da un’idea brillante, da un episodio virale o da un fenomeno televisivo. Ma poi, altrettanto rapidamente, scompaiono. È il destino dei neologismi “effimeri”, come li definisce l’Osservatorio della Lingua Italiana Treccani, in un’indagine firmata da Valeria Della Valle e Giuseppe Patota.

Simbolo di questa breve gloria linguistica è “petaloso”, l’aggettivo inventato da un bambino per descrivere un fiore “ricco di petali”. Apprezzato pubblicamente dalla Crusca e diventato virale, oggi è uscito dal linguaggio comune. Un successo passeggero, come altri che hanno avuto fortuna mediatica ma non linguistica.

Stessa sorte per parole legate alla televisione. “Meteorina”, derivata dal successo delle “veline”, è presto svanita; “tronista”, per anni protagonista del dating show “Uomini e Donne”, è oggi relegata a contesti marginali, così come “torsonudista” e “gieffino”, entrambi figli della stagione d’oro dei reality show. In calo anche “mediacrazia”, usata per indicare il potere dei media.

Nemmeno la firma illustre basta a garantire la sopravvivenza di un neologismo. È il caso di parole come “asinocrazia” (Giovanni Sartori), “guerrasantista” (Guido Ceronetti), “barcamenista” (Aldo Grasso) o “lamentologia” (Mina). Brillanti, ma troppo legate al contesto o al momento per durare nel tempo.

Secondo Della Valle e Patota, molti di questi termini sono stati registrati per dovere documentale nei dizionari dei neologismi, ma non hanno mai superato la soglia dell’uso reale. Alcuni, come “Ferragnez”, attendono ancora di sapere se il destino li condannerà all’oblio o se resisteranno alla crisi.

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