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Minori e Social
20 Maggio 2025 - 04:00
Internet è il loro parco giochi, ma senza regole. Bambini di sei anni con lo smartphone in mano, ragazzini “sempre connessi” che scrollano TikTok più in fretta di quanto leggano una pagina di diario. Una libertà digitale che assomiglia sempre più a un rischio. Ma qualcosa si muove: entro l’estate potrebbe arrivare il primo via libera alla legge che mette un freno all’accesso dei minori ai social. Il Parlamento ci crede, la politica fa (per una volta) fronte comune. E i genitori? Osservano, forse con un misto di sollievo e preoccupazione.
È il 44,6% dei bambini tra 6 e 10 anni a usare internet ogni giorno, secondo Save the Children. Ma il dato che allarma di più è quello che riguarda gli adolescenti: oltre la metà è “sempre online” (Istat). Aumentano i casi di cyberbullismo – l’Istituto Superiore di Sanità parla di un 17% di undicenni già vittime – e si moltiplicano gli episodi di diffusione di immagini intime, diffamazioni, violenze verbali. Il web è un moltiplicatore di esperienze, certo, ma anche un acceleratore di pericoli.
Per questo nel maggio 2024 è stata depositata alla Camera e al Senato una proposta di legge destinata a riscrivere le regole. L’obiettivo? Portare a 15 anni l’età minima per accedere ai social network, rendere obbligatoria la verifica dell’età da parte delle piattaforme, rendere nulli i contratti stipulati dai minori, e mettere ordine anche nel mondo degli influencer, quando coinvolgono bambini e adolescenti.
Il nodo educativo resta. Perché se i figli sbagliano, a risponderne – sempre più spesso – sono anche i genitori. La giurisprudenza italiana sta tracciando un solco preciso: vigilare è un dovere, non un’opzione. Lo ha ricordato di recente il Tribunale di Bologna (sentenza n. 2829/2024): se un figlio compie un illecito online, la famiglia deve dimostrare di averlo educato e controllato in modo proporzionato alla sua età. Altrimenti, paga. Letteralmente.
Un primo precedente normativo c’è: il decreto Caivano (DL 123/2023), che vieta l’accesso dei minori ai contenuti pornografici e assegna all’Agcom il compito di costruire strumenti di verifica dell’età. Lo scorso 12 maggio, l’Autorità ha pubblicato le linee guida che le piattaforme dovranno seguire entro sei mesi. Un banco di prova che anticipa ciò che la nuova legge vuole estendere a tutto l’universo social.
Occhi puntati anche sull’Europa, dove il Digital Services Act (DSA) mira a rafforzare la protezione dei minori online. Le cosiddette VLOP – le Very Large Online Platforms – dovranno implementare sistemi di parental control e verifiche d’età non aggirabili. In arrivo c’è anche l’EUDI, il portafoglio europeo dell’identità digitale, previsto per fine 2026: uno strumento che potrebbe diventare la chiave di volta per un’identificazione sicura.
Un’anomalia nel panorama politico italiano: la proposta è bipartisan. Marianna Madia (PD) alla Camera e Lavinia Mennuni (FdI) al Senato guidano il testo con la consapevolezza di camminare sul crinale tra protezione e libertà. Per Madia, l’urgenza è costruire strumenti che non si possano bypassare con un clic. Per Mennuni, c’è da agire in fretta: servono regole entro il 2026, prima che l’ennesima generazione cresca in una giungla digitale senza limiti.
Questa legge potrebbe fare da spartiacque. Un po’ come la legge Sirchia ha cambiato il modo di fumare nei locali, qui si punta a modificare l’approccio ai social fin dall’infanzia. La consapevolezza dei rischi digitali va coltivata a casa, a scuola, nelle famiglie. E se il Parlamento dovesse riuscire a trasformare questa proposta in legge, l’Italia potrebbe diventare un laboratorio europeo su come tutelare i minori senza rinunciare all’educazione alla libertà.
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