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Protezione dati
22 Maggio 2025 - 11:30
In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale ridefinisce paradigmi sociali, economici e culturali, due segnali forti, seppur di natura diversa, convergono su un punto cruciale: la necessità di una governance umana e responsabile delle tecnologie. Da un lato, Papa Leone XIV, che ha scelto il proprio nome ispirandosi alla Rerum Novarum per riaffermare la centralità della dignità umana anche nell’era dell’IA. Dall’altro, la Commissione europea, impegnata in una revisione normativa che rischia di minare alcune delle garanzie fondamentali sancite dal Gdpr.
Il nuovo pontefice ha lanciato un chiaro messaggio sin dal suo primo atto pubblico: il nome Leone XIV non è casuale. È un richiamo esplicito alla dottrina sociale della Chiesa e al ruolo attivo che essa intende svolgere nell’affrontare le sfide della cosiddetta “quarta rivoluzione industriale”. L’intelligenza artificiale, nelle parole del Papa, deve essere guidata da una visione etica e antropocentrica, al servizio dell’uomo, del lavoro, della giustizia.
Una linea che prosegue idealmente il percorso avviato da Papa Francesco, che già a gennaio aveva promosso linee guida sui rischi e gli usi vietati dell’IA. La Santa Sede, quindi, non resta spettatrice dello sviluppo tecnologico, ma propone una bussola morale fondata su valori umani universali.
Mentre si rafforza il dibattito globale sull’IA, l’Unione Europea si muove in una direzione più pragmatica. La Commissione ha avviato un processo di revisione di alcune normative, tra cui quelle in materia di sostenibilità e due diligence, e ora tocca al Gdpr. L’obiettivo: alleggerire gli oneri burocratici per le PMI, in particolare ampliando le esenzioni per la tenuta del registro delle attività di trattamento.
Tuttavia, se la semplificazione può essere utile per evitare l’appesantimento amministrativo, il rischio concreto è quello di una deregolamentazione non bilanciata, che indebolisca la protezione dei dati personali e, con essa, i diritti fondamentali dei cittadini.
Non sono mancate le reazioni: sia l’European Data Protection Board (EDPB) sia l’European Data Protection Supervisor (EDPS) hanno espresso riserve sulla revisione in corso, ribadendo il ruolo centrale delle regole come strumento di garanzia e fiducia nel digitale. Anche accademici e professionisti del settore si dividono tra chi auspica una maggiore flessibilità normativa e chi teme un indebolimento sistemico del modello europeo di protezione dei dati.
Il punto centrale della questione non è tanto l’esistenza di regole, ma la loro qualità e funzione. In un contesto geopolitico in cui il digitale è terreno di confronto globale, le normative europee – Gdpr in primis – rappresentano non solo uno scudo per i diritti dei cittadini, ma anche un vantaggio competitivo per le imprese europee. Le regole chiare e orientate ai diritti sono ormai un marchio distintivo del mercato europeo, apprezzato anche fuori dai confini dell’UE.
Semplificare sì, ma senza rinunciare alla sostanza. Perché oggi, più che mai, la governance del digitale deve saper tenere insieme innovazione e diritti, progresso e responsabilità, sviluppo e umanità. Proprio come auspicano – seppur da prospettive diverse – Bruxelles e il Vaticano.
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