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L'allarme
23 Maggio 2025 - 13:15
Nelle vetrine digitali di Instagram, TikTok e Facebook, scorrono ogni giorno scene di esistenze apparentemente impeccabili: viaggi da sogno, corpi scolpiti, sorrisi eterni. Sono attimi selezionati e confezionati per brillare. Ma dietro quell’estetica patinata si cela una realtà ben diversa. Sempre più persone – in particolare i più giovani – sviluppano uno stato psicologico subdolo, che li porta a confrontare ogni aspetto della propria vita con quella degli altri. Il fenomeno ha un nome che sembra uscito da un dizionario dei mali moderni: comparansia.
Questo confronto costante e spesso inconsapevole mina le fondamenta dell’autostima. La propria quotidianità, fatta di routine e imperfezioni, sembra impallidire di fronte all’apparente successo degli altri. Si finisce col sentirsi inadeguati, esclusi, difettosi. Gli psicologi parlano ormai apertamente di un legame tra comparansia, depressione e disturbi d’ansia. Le bacheche digitali non raccontano la realtà, ma una versione edulcorata e selettiva di essa. Eppure, il cervello tende a prenderla per vera.
Ogni like ricevuto innesca un rilascio di dopamina, la stessa sostanza che il cervello produce con il gioco d’azzardo o con una dose di zucchero. È la ricompensa chimica che alimenta la dipendenza. Così si resta incollati allo schermo, in cerca di approvazione. Intanto, le immagini ritoccate con filtri e app di fotoritocco creano modelli irraggiungibili, soprattutto per gli adolescenti che costruiscono la propria identità guardandosi attraverso lo specchio deformante del feed.
Quel volto levigato, quel corpo scolpito, quella felicità ostentata – tutto alimenta un divario crescente tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. Il disagio nasce proprio lì: nel sentire che la propria vita non è mai abbastanza. Aumentano la frustrazione e il senso di solitudine. Si osservano gli altri mentre sembrano realizzare sogni a portata di clic, mentre nella propria esistenza resta solo un senso di mancanza. Ma ciò che si vede non è quasi mai la verità.
Viviamo in una società che celebra l’apparenza e la performance immediata. I social media amplificano questa pressione: mostrano solo i successi, mai i sacrifici. Si dimentica che dietro ogni conquista ci sono tempo, fatica, cadute. Il mito del “tutto e subito” seduce, ma è velenoso. Nessuno mostra il dietro le quinte delle proprie difficoltà, perché i social non premiano l’autenticità, ma la brillantezza.
La comparansia non è un capriccio digitale. È un segnale d’allarme di un malessere collettivo. Serve educazione digitale, serve imparare a guardare con occhio critico, a distinguere il vero dal costruito.
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