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Curiosità
26 Maggio 2025 - 21:15
Nel mondo iperconnesso in cui viviamo, la morte non è più solo un fatto intimo o familiare. Lasciamo tracce digitali ovunque: profili social, messaggi, foto, archivi cloud, blog. È la cosiddetta eredità digitale, un nuovo territorio ibrido tra memoria, tecnologia e diritto, che solleva interrogativi profondi su identità, privacy e lutto. E la risposta non è univoca.
Secondo una ricerca condotta da ExpressVPN, entro la fine del secolo il numero di profili Facebook appartenenti a persone decedute supererà quello degli utenti vivi. Un dato che rivela quanto i social siano diventati un'estensione della nostra esistenza, destinata a sopravvivere anche dopo la nostra morte. Ma cosa succede concretamente ai nostri account una volta che non ci siamo più?
Facebook, Instagram, Twitter: cosa fanno le piattaforme
Facebook permette di scegliere in vita se nominare un contatto erede, cioè una persona fidata che potrà gestire l’account commemorativo del defunto: accettare richieste di amicizia, modificare foto profilo e di copertina, pubblicare un messaggio fissato in alto. In alternativa, si può richiedere la cancellazione completa dell’account alla notizia della morte.
Instagram, di proprietà di Meta, segue una logica simile: l’account può diventare commemorativo su richiesta, ma le impostazioni rimangono immutabili. La cancellazione, invece, richiede un certificato di morte.
Twitter (ora X) ha un approccio più restrittivo: non prevede account commemorativi. L’unica opzione è la disattivazione dell’account, da richiedere tramite un familiare autorizzato, con documenti ufficiali. Nessuno può avere accesso diretto ai dati.
Ma non si tratta solo di social. L’eredità digitale comprende anche email, archivi cloud, conti bancari online, documenti criptati. La normativa è ancora frammentaria e spesso incerta.
Il GDPR europeo (Regolamento UE 2016/679) stabilisce che gli eredi non hanno un diritto automatico ad accedere ai dati del defunto: serve dimostrare un interesse legittimo o agire nell'interesse dell’interessato. In Italia, il Codice della Privacy (D.lgs 196/2003) prevede che i diritti sui dati personali possano essere esercitati da chi agisce per finalità familiari meritevoli di protezione. Tuttavia, resta il nodo della privacy post mortem, che può entrare in conflitto con i diritti successori.
Emblematico il caso trattato dal Tribunale di Milano, dove una madre ha ottenuto accesso agli account digitali del marito deceduto per tutelare i figli minori. Una sentenza che ha fatto discutere, perché apre scenari delicati: chi accede, accede a tutto – compreso ciò che magari il defunto non avrebbe voluto condividere.
Come preparare la propria eredità digitale
È quindi importante, oggi più che mai, organizzare la propria presenza digitale in vista di ciò che sarà. Ecco alcuni consigli del Consiglio Nazionale del Notariato:
Inventario digitale: tenere traccia di tutti i propri account, dai social ai servizi bancari, dalle email ai cloud.
Mandato post mortem: lasciare a una persona di fiducia le credenziali e le istruzioni chiare su come gestire o distruggere i propri dati.
Testamento digitale: si può redigere un documento legale in cui si definisce chi eredita cosa, anche nel mondo virtuale.
Attenzione però: affidare una password non equivale a cedere legalmente un bene. Per esempio, un conto online è l’estensione di un conto bancario reale e segue le regole del diritto successorio. Se non c’è testamento, subentrano gli eredi legittimi.
La morte non spegne più la nostra presenza pubblica. Al contrario, ci obbliga a una nuova responsabilità: quella di decidere consapevolmente come e quanto della nostra vita digitale debba sopravvivere. Tra diritto, etica e memoria, il futuro dell’eredità digitale è ancora tutto da scrivere.
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