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i meme e gli aforismi
27 Maggio 2025 - 14:40
Scrollando tra social network e siti di aforismi, è facile imbattersi in citazioni accompagnate da immagini suggestive e nomi altisonanti come Albert Einstein, il Dalai Lama o Ernest Hemingway. E, sempre più spesso, anche Winnie the Pooh. Ma molte di queste frasi, sebbene commoventi e piene di apparente saggezza, sono completamente inventate.
Un caso emblematico è proprio quello dell’orsetto giallo creato negli anni Venti dallo scrittore inglese A.A. Milne. Diventato famoso prima nei suoi libri e poi grazie all’adattamento Disney, Pooh è oggi protagonista di una vera e propria mitologia parallela online. Sui social e nei negozi online, come Etsy, si trovano magliette, tazze e poster con citazioni come:
"Che fortunato che sono, ad avere qualcosa a cui è così difficile dire addio" oppure:
"Come si scrive amore? - Non si scrive si sente"
Frasi dolci, certo, ma mai pronunciate da Winnie the Pooh. Non nei libri originali di Milne, né nei film e nelle serie televisive Disney. Come ha spiegato Uri Bram sulla rivista Dirt, esiste una specie di “Pooh fantasma” che infesta internet: un personaggio molto più sdolcinato, filosofico e riflessivo di quanto Milne avesse mai immaginato.
Bram ha intervistato William Levack, fisioterapista neozelandese e curatore del sito Pooh Misquoted, che da anni cataloga le frasi erroneamente attribuite al famoso orsetto. Secondo Levack, sono solo “canoniche” le citazioni contenute nei due libri originali (Winnie Puh, 1926, e La strada di Winnie Puh, 1928) e nelle 13 pellicole e quattro serie TV Disney. Tutto il resto è spesso inventato di sana pianta, oppure proviene da fonti totalmente estranee al mondo di Pooh.
Un esempio emblematico è proprio la frase più famosa:
«Che fortunato che sono, ad avere qualcosa a cui è così difficile dire addio».
In realtà non è di Milne, né di Disney: viene da Una finestra sul cielo, film del 1975 sulla sciatrice Jill Kinmont. Una citazione modificata e ripulita, poi affibbiata a un tenero orsetto per aumentarne la risonanza emotiva.
In alcuni casi, invece, le frasi provengono da un libro di aforismi pubblicato negli anni Novanta da Joan Powers e presentato come “ispirato ad A.A. Milne”. Oppure, come nel caso di
«Come si diventa una farfalla? – Devi desiderare di volare così tanto da rinunciare a essere un bruco»,
si tratta di citazioni di altri autori, come Trina Paulus (Hope for the Flowers), “riplasmate” in dialoghi tra Pooh e Pimpi per adattarsi al formato virale.
Ma perché proprio Winnie the Pooh è diventato un bersaglio così frequente per questo tipo di attribuzioni errate? La spiegazione è duplice: da un lato, è un personaggio universalmente conosciuto e amato; dall’altro, la sua immagine di innocente e tenero orsetto si presta perfettamente alla diffusione di aforismi “sempliciotti” ma toccanti.
Come per Einstein o il Dalai Lama, la notorietà e il rispetto popolare rendono questi personaggi bersagli ideali per citazioni dal tono morale o filosofico. Secondo Bram, le persone sono più inclini a credere a un aforisma se è associato a un nome che già riconoscono e stimano. Così nasce un ciclo autoalimentato: più una figura viene citata (anche a sproposito), più ci sembra naturale continuare ad attribuirle nuove frasi.
Levack invita a diffidare. Per chi ha letto davvero Milne, distinguere l’originale dal falso è facile: il vero Pooh non parla mai di amore, morte o coraggio in senso astratto. Le sue parole sono semplici, spesso buffe, talvolta ingenue. Dice cose come:
«Sono un orso con pochissimo cervello e le parole lunghe mi danno fastidio».
In fondo, è proprio questa innocenza a renderlo così adorabile. E forse anche il motivo per cui, in rete, tanti preferiscono immaginarselo un po’ più saggio e profondo di quanto non sia mai stato davvero.
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