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Lavoro
27 Maggio 2025 - 20:15
Nel 2024 qualcosa si è mosso, silenziosamente ma con decisione, dentro le famiglie italiane. Per la prima volta, una percentuale rilevante di padri ha scelto di lasciare il lavoro per motivi legati alla cura dei figli. Lo rivelano i dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro: quasi 19 mila uomini con bambini fino a tre anni si sono dimessi volontariamente, rappresentando oltre il 30% di tutte le dimissioni dei genitori.
Un cambio culturale profondo, che si riflette anche nei numeri. Fino a poco tempo fa, solo una minima parte dei padri – il 7% nel 2022 – motivava le proprie dimissioni con la necessità di occuparsi dei figli. Oggi quella quota è triplicata, arrivando al 21%. Segno che il modello familiare sta lentamente mutando, e con esso anche la distribuzione dei carichi di cura.
Nel complesso, oltre 60 mila genitori hanno lasciato il lavoro nel corso del 2024, circa 10 mila in più rispetto al periodo pre-Covid. Più della metà di loro – oltre 35 mila – ha indicato la gestione familiare come principale motivo di uscita dal mondo del lavoro. Ma accanto alla cura dei figli, pesano anche gli orari insostenibili, il carico mentale, la ricerca di un nuovo equilibrio professionale.
Nonostante il segnale incoraggiante da parte dei padri, il peso più grande continua a gravare sulle spalle delle madri: oltre 42 mila donne hanno lasciato il lavoro nell’anno appena trascorso. Una realtà che continua a raccontare di un'asimmetria ancora lontana dall’essere superata, anche se oggi meno assoluta di ieri.
Ad accompagnare questo cambiamento culturale, si affianca un’evoluzione normativa. La nuova struttura del congedo parentale, aggiornata con le leggi di Bilancio 2024 e 2025, offre un sostegno economico più solido nei primi mesi di vita del bambino.
Il secondo e il terzo mese di congedo sono ora retribuiti all’80%, contro il 60% previsto in passato. Un miglioramento che rende la scelta di restare a casa meno penalizzante economicamente, sia per le madri sia – ed è la novità – per i padri. Restano poi sei mesi con indennità al 30% e due mesi non retribuiti, salvo per chi ha redditi molto bassi.
Ogni coppia ha diritto a dieci mesi di congedo complessivo, estendibili a undici se il padre ne utilizza almeno tre. Tre mesi sono riservati a ciascun genitore e non possono essere ceduti, mentre gli altri quattro possono essere gestiti liberamente, anche in alternanza.
La vera notizia, però, non è solo nei numeri. È in ciò che rappresentano. Sempre più padri scelgono di esserci, di prendersi cura, di fare un passo indietro sul lavoro per farne uno avanti nella vita familiare. È un segnale che qualcosa sta cambiando nella società italiana: non più solo "aiutare", ma condividere.
E mentre le leggi iniziano a riconoscere questo bisogno di equilibrio, anche il mercato del lavoro – e la cultura che lo circonda – sarà chiamato ad adeguarsi. Perché una società che sostiene davvero la genitorialità è quella che non chiede di scegliere tra famiglia e lavoro, ma crea le condizioni perché possano coesistere.
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