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28 Maggio 2025 - 23:35
Matteo Berrettini alle ATP Internazionali d'Italia, al Foro Italico
I controlli anti-doping sono parte integrante del mondo dello sport, ma dietro la loro funzione fondamentale si nasconde un lato spesso poco raccontato: l’invasività delle procedure e le difficoltà affrontate dagli atleti durante i test. A svelare alcuni retroscena sono stati i tennisti Jack Draper e Matteo Berrettini, che hanno parlato con schiettezza delle esperienze personali legate a queste pratiche.
Jack Draper ha descritto con ironia e sincerità un momento particolarmente imbarazzante durante i test: “Delle volte ti trovi a spingere così forte che arrivi persino a emettere flatulenze con i responsabili dei test antidoping proprio affianco a te”. L’immagine, a detta del tennista britannico, è surreale, ma rappresenta un lato molto umano e privato di una procedura lunga e intensa. Draper ha aggiunto che, nonostante l’imbarazzo, è importante ricordare che anche chi esegue i test affronta un lavoro non semplice: “È un lavoro duro pure per loro. E questo lo tengo sempre a mente, perché ci sono persone che si infastidiscono per cose del genere che sono molto intime. Ma, alla fine, pure per quelle persone non è un lavoro semplice”.
Matteo Berrettini ha svelato in un'intervista dettagli che evidenziano quanto la routine degli atleti sia influenzata dal sistema di controlli: “Loro sanno tutti i ca**i miei: dove sto, dove dormo. È un po’ un peso, una roba stressante”. I test, che possono essere a sorpresa e riguardare urine o anche sangue, richiedono agli atleti di comunicare in anticipo la loro posizione tramite un’app, per assicurare la reperibilità. “Tutte le sere prima di andare a dormire devo controllare se ho messo l’indirizzo giusto”, ha confessato Berrettini, sottolineando come l’accuratezza sia fondamentale per evitare sanzioni. “Se non ti fai trovare c’è un warning e quando ne prendi 3 sei squalificato per un anno e mezzo”.
Un altro aspetto che Berrettini ha voluto chiarire riguarda il controllo durante la raccolta dei campioni: “Loro ti devono guardare mentre la fai. Questo perché in passato le persone dopate avevano dei trabiccoli con dei peni finti, delle protesi e versavano la pipì di un altro, pulita. L’avevano nei pantaloni e per questo loro ora si assicurano bene”. Per il tennista romano, che prevede di sottoporsi a una trentina di test nell’arco dell’anno, ogni controllo è “un ave maria”, a testimonianza della pressione che gravita intorno a queste procedure.
Queste testimonianze mettono in luce un lato poco noto ma importante del mondo antidoping: oltre alla necessità di garantire sport pulito, è essenziale comprendere l’impatto emotivo che i test hanno sugli atleti. Un equilibrio delicato tra sicurezza, trasparenza e rispetto della privacy.
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