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Scienza
02 Giugno 2025 - 13:20
Foto di repertorio (Depositphotos)
Guidare per ore ogni giorno può sembrare un lavoro logorante. Ma secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal da un team di Harvard, alcune professioni alla guida potrebbero offrire un insospettabile scudo contro l’Alzheimer. In particolare, tassisti e autisti di ambulanze sembrano essere meno colpiti dalla malattia neurodegenerativa, forse grazie all’intensa attività cognitiva richiesta dal loro lavoro. L’idea che guidare in ambienti complessi possa influenzare positivamente il cervello non è nuova. I tassisti londinesi, famosi conducenti dei black cab, sono stati al centro di uno studio già nei primi anni 2000, in cui l’imaging cerebrale rivelava un ippocampo (area chiave per orientamento e memoria) più sviluppato rispetto alla media. Merito di The Knowledge, il durissimo esame che i futuri tassisti devono superare, imparando a memoria 25.000 strade e punti di interesse della città.
Questo tipo di allenamento mentale ha spinto i ricercatori americani a chiedersi: può l’orientamento spaziale richiesto da certe professioni proteggere dal declino cognitivo? Per rispondere, gli scienziati hanno analizzato oltre 9 milioni di certificati di morte negli Stati Uniti, raccolti tra il 2020 e il 2022 dal National Vital Statistics System, un database pubblico intergovernativo. Tra i dati raccolti: causa di morte e professione del deceduto, suddivisi in 443 categorie occupazionali.
I numeri parlano chiaro. Su 16.000 tassisti deceduti, solo 171 morti (1,3%) erano riconducibili all’Alzheimer. Ancora meglio è andata agli autisti di ambulanze: 10 morti su 1.348 (0,74%). Dopo l’aggiustamento statistico per età e variabili socio-demografiche, le percentuali si sono ulteriormente abbassate: 1,03% per i tassisti, 0,91% per gli ambulanzieri. Ben al di sotto della media nazionale dell’1,69%.
Curiosamente, nessun effetto simile è stato riscontrato tra autisti di autobus, piloti o marinai, suggerendo che il vantaggio risieda non tanto nella guida in sé, quanto nel tipo di sforzo mentale richiesto per orientarsi in ambienti urbani complessi o in situazioni d’emergenza. Questo elemento rafforza l’ipotesi dei ricercatori: l’allenamento costante dell’orientamento spaziale potrebbe stimolare e preservare l’ippocampo, proteggendolo dal restringimento tipico dell’Alzheimer.
Nonostante i risultati promettenti, gli autori dello studio invitano alla cautela: si tratta infatti di uno studio osservazionale, che non può dimostrare una relazione di causa-effetto. “Non consideriamo i nostri risultati definitivi, ma uno spunto per nuove ipotesi da verificare con ricerche più approfondite”, spiegano.
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