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04 Giugno 2025 - 19:05
Una volta bastava uno sguardo, una parola sussurrata con cura, una lettera lasciata in tasca, scritta a mano con l'inchiostro blu. Non servivano cuori digitali, reaction istantanee o storie da condividere: l’amore — o qualcosa che gli somigliava — si coltivava nei gesti. Quelli piccoli, silenziosi, che oggi sembrano usciti da un romanzo ottocentesco.
Parliamo spesso di romanticismo, ma raramente ci fermiamo a pensare a quanto — e cosa — abbiamo perduto della galanteria vera, quella fatta non solo di educazione, ma di attenzione profonda. Di intenzioni sincere. Di tempo dedicato.
C’era un tempo in cui scrivere una lettera non era un gesto straordinario, ma normale. Si prendeva un foglio, lo si ripiegava con cura, si firmava con il proprio nome vero. Si parlava di emozioni, si chiedeva “Come stai davvero?”, si lasciavano silenzi tra le righe. Oggi un “ti penso” si dissolve in una notifica.
Un tempo, chi voleva uscire con qualcuno chiedeva il permesso ai genitori. Non era solo una formalità, ma un segnale di rispetto, quasi una dichiarazione: “Io ci tengo.” Oggi, l’idea fa ridere e suona superata. Eppure, in quel gesto c’era qualcosa di profondamente umano e di profonda umiltà: l’idea che una relazione non riguardasse solo due persone, ma anche le loro storie.
Non esisteva l’“ufficializzazione” via social. Quando ci si teneva, ci si presentava di persona. Si stringevano mani, si sorrideva un po’ impacciati, si portava una bottiglia o un mazzo di fiori. Quel momento in cui si entrava nel mondo dell’altro era un rito: delicato, serio, emozionante. Oggi spesso accade a cose fatte — o non accade affatto.
Oggi si dice che guardarsi negli occhi sia intimo. Ma un tempo era la regola. Nessun cellulare sul tavolo, nessun “scusa, rispondo un attimo”, nessuna distrazione a portata di dito. Solo conversazioni lente, fatte di pause reali, sorrisi accennati, domande pensate. Era più difficile, forse. Ma anche più autentico.
Anche l’abbigliamento era un gesto galante: non per impressionare, ma per rispetto. Scegliere con cura cosa indossare per un appuntamento era un modo per dire: “Questa sera conta.” Ora la comodità spesso vince sull’attenzione, e l’informalità dei jeans e maglietta è diventata la norma. Ma un abito scelto con cura sa ancora raccontare una storia.
Una conchiglia raccolta in vacanza. Un libro sottolineato. Un biglietto scritto di notte. I regali senza occasione parlavano chiaro: “Ti ho pensato quando non c’eri.” Oggi sono rarità. Ma quando accadono, sanno ancora commuovere più di mille messaggi.
Ciò che oggi si chiama “red flag” o “green flag” un tempo era semplicemente attenzione. Chi ricordava un dettaglio — il film preferito, la paura del temporale, il nome di un fratello — non lo faceva per strategia, ma perché ascoltava davvero, un po' come in Io Prima di Te e le calze ad ape. E ascoltare è uno dei gesti più galanti che esistano.
Un gesto che pochi notano, ma che dice tutto. Camminare dal lato esterno del marciapiede, tra la persona che accompagni e la strada, era un modo implicito per dire: “Se succede qualcosa, ci sono io.” Un’abitudine antica, quasi istintiva, oggi ormai dimenticata. Ma che custodisce in sé un’idea bellissima: prendersi cura, in silenzio.
Una volta si alzava la cornetta per dire “mi manchi”. Oggi basta un emoji. Telefonare — davvero — è ormai un gesto rivoluzionario, e al tempo stesso intimo. Sentire una voce, cogliere le pause, ridere insieme senza filtro. Anche questo è un gesto di galanteria: esserci, con la propria voce, quando sarebbe più facile scrivere due righe distratte.
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