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La proposta
09 Giugno 2025 - 19:45
Quando la minaccia è apocalittica, anche le ipotesi più folli sembrano guadagnare spazio nel dibattito. È il caso della proposta shock di Andy Haverly, ricercatore venticinquenne del Rochester Institute of Technology, che ha avanzato una teoria tanto estrema quanto controversa: far detonare una bomba atomica gigantesca sul fondale dell’Oceano Antartico per combattere la crisi climatica.
La minaccia è nota: con il riscaldamento globale ormai vicino a superare stabilmente i +1,5 °C rispetto all’era preindustriale, gli effetti su scala mondiale potrebbero essere devastanti. Tra questi: innalzamento del livello del mare, incendi e siccità estreme, patogeni tropicali in aree temperate, ondate di calore letali, carestie, guerre per le risorse e migranti climatici a milioni. A ciò si aggiunge l’aspetto economico: si parla di perdite da centinaia di trilioni di dollari entro fine secolo.
Di fronte a uno scenario tanto drammatico, Haverly propone una soluzione estrema: l’Enhanced Rock Weathering (ERW), ovvero accelerare artificialmente l’erosione di rocce ricche di silicati – come il basalto – che, frantumate in microparticelle, possono reagire con la CO₂ atmosferica trasformandola in bicarbonato stabile, imprigionandola per millenni.
E per frantumare quantità colossali di basalto in fondo all’oceano? Una sola risposta: una detonazione atomica gigantesca, capace di polverizzare ben 3,86 trilioni di tonnellate di roccia. Il problema? Servirebbe una bomba da 81 gigatonnellate, ovvero 5,4 milioni di volte più potente della bomba di Hiroshima. Numeri da far tremare anche la temibile Bomba Tsar, il più potente ordigno mai fatto esplodere. “Localizzando con precisione l'esplosione sotto il fondale marino, miriamo a confinare detriti, radiazioni ed energia, garantendo al contempo un rapido weathering delle rocce su una scala sufficientemente ampia da incidere significativamente sui livelli di carbonio atmosferico”, scrive Haverly nell’abstract della sua ricerca.
Secondo l'autore, l’ordigno andrebbe collocato a 3 chilometri di profondità per contenere i danni ambientali e limitare le perdite umane. Ma ammette che ci sarebbero comunque vittime per il fallout radioattivo e danni a lungo termine agli ecosistemi. Tuttavia, afferma che sarebbero minori rispetto a quelli prodotti dal cambiamento climatico fuori controllo.
La comunità scientifica, però, ha reagito con forte scetticismo. L’idea, non ancora sottoposta a peer review e pubblicata su ArXiv, viene definita irresponsabile e pericolosa. Oltre agli enormi rischi logistici, ambientali e geopolitici, molti scienziati criticano l’approccio perché sposta l’attenzione dalle politiche di decarbonizzazione, creando l’illusione di una scorciatoia nucleare che ci permetterebbe di continuare a inquinare.
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