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Arte
16 Giugno 2025 - 12:10
Il corpo è poesia, e il teatro il suo luogo naturale. Si è chiusa domenica 15 giugno la 53esima edizione della Biennale Teatro, affidata quest’anno a Willem Dafoe, che ha impresso al festival un segno profondo, fatto di riflessione e tensione artistica. Il titolo scelto, “Theatre is Body – Body is Poetry”, è stato più di una dichiarazione: una bussola per navigare due settimane fitte di spettacoli, incontri e visioni performative, con 13.300 presenze registrate e sale gremite a ogni appuntamento.
L’edizione 2025 ha tracciato una connessione viva tra le sperimentazioni radicali degli anni Settanta e le nuove frontiere drammaturgiche. Una relazione tesa, interrogativa, che ha attraversato i linguaggi scenici senza nostalgia, ma con lo sguardo rivolto al teatro come forma in continua mutazione.
“La poesia non è un generatore di emozioni, ma una fuga da esse”, ha detto Willem Dafoe, citando T.S. Eliot in una conversazione con askanews. Una visione affilata, che ha guidato l’intera manifestazione: non un’arte dell’empatia, ma della rivelazione, capace di aprire squarci su una verità impalpabile e universale.
Tra i momenti più potenti, “I mangiatori di patate” di Romeo Castellucci, un’opera magnetica e impenetrabile, e la “Veggente” di Milo Rau, interpretata dalla straordinaria Ursina Lardi, Leone d’argento. Due lavori che si sono misurati con l’indicibile e l’incomprensibile, portando in scena una tensione quasi mistica, specchio di un teatro che non cerca di spiegare, ma di evocare. Il riferimento a Jerzy Grotowski non è stato solo citazione, ma materiale vivo da rielaborare. La Biennale ha saputo accogliere l’influenza del maestro polacco per aprire varchi verso forme ibride e contemporanee, in cui il corpo, la voce e il rito diventano strumento di esplorazione poetica e politica.
Il pubblico ha risposto con entusiasmo, con sale sempre piene e un’atmosfera di partecipazione viva. Ma al di là dei numeri, è l’identità della rassegna che emerge: un luogo di confronto reale con le zone d’ombra del nostro tempo, dove il teatro abbandona ogni didascalia e si fa enigma da abitare.
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