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Esame di maturità

ChatGPT alla Maturità: ecco come avrebbe sviluppato la Traccia C2

Come l'intelligenza artificiale avrebbe scritto il tema su "L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa?", di Anna Meldolesi e Chiara Lalli

ChatGPT alla Maturità: ecco come avrebbe sviluppato la Traccia C2

Le autrici Anna Meldolesi e Chiara Lalli

Abbiamo chiesto a ChatGpt, come avrebbe svolto le tracce della Maturità 2025 della prima prova d'italiano della tipologia C – RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ , Proposta C2

Titolo: La trappola dell’indignazione online

Paragrafo 1 – Indignarsi è facile, capire è difficile

Nel mondo dei social network, indignarsi è diventato un gesto quotidiano, quasi automatico. Basta un titolo provocatorio, una frase fuori contesto o un’immagine forte per scatenare una valanga di commenti arrabbiati. Il testo di Meldolesi e Lalli tocca un nervo scoperto: oggi indignarsi non è solo comune, ma sembra essere la forma principale con cui si reagisce agli stimoli online. Eppure, dietro questa reazione immediata si nasconde un problema più profondo: l’indignazione fine a sé stessa rischia di diventare sterile e, peggio ancora, di farci perdere di vista i temi davvero importanti.

Paragrafo 2 – Il rischio della superficialità

Una delle critiche principali mosse dagli studiosi citati nel testo riguarda il fatto che, spesso, chi si indigna non si prende il tempo per approfondire. Personalmente, mi è capitato più volte di vedere amici condividere post scandalizzati su temi di cui non conoscevano i dettagli. Qualcuno, per esempio, si è arrabbiato per il taglio di fondi alla scuola senza sapere che si trattava di una bufala. Questo accade perché i social ci spingono alla reazione immediata, al “like” impulsivo, senza invitarci a verificare o riflettere. L’informazione perde così il suo valore critico e diventa puro carburante per l’indignazione.

Paragrafo 3 – Quando l’indignazione è utile (e quando no)

Questo non significa che indignarsi sia sempre sbagliato. Anzi, molte battaglie sociali, dal razzismo alla crisi climatica, si sono rafforzate proprio grazie a ondate di indignazione collettiva. Ma la differenza la fa la consapevolezza. Indignarsi con cognizione di causa, dopo aver approfondito, può essere il primo passo verso un cambiamento reale. Al contrario, indignarsi per tutto, anche per sciocchezze o notizie false, produce l’effetto opposto: si crea un rumore costante che rende difficile distinguere ciò che conta davvero.

Paragrafo 4 – Una rabbia che si consuma in fretta

Un altro aspetto interessante messo in luce nel testo è il “consumo” della rabbia. Se ogni giorno la nostra mente è occupata da indignazioni futili, come una polemica su un vestito o su una frase infelice detta da un vip, poi rischiamo di essere “esauriti” quando arriva una notizia grave che meriterebbe attenzione e mobilitazione. È come se avessimo un serbatoio limitato di indignazione, che però viene sprecato su questioni irrilevanti. E questa è una responsabilità che riguarda sia chi usa i social, sia chi crea i contenuti.

Paragrafo 5 – Educare alla lentezza e al dubbio

La scuola, la famiglia, i media dovrebbero insegnarci a rallentare. A leggere prima di condividere, a cercare fonti affidabili, a chiederci: “Questa notizia è vera? È importante?”. In un mondo dove tutto corre, imparare a fermarsi è un atto rivoluzionario. Solo così l’indignazione può tornare ad avere senso: non come sfogo, ma come reazione critica, consapevole e orientata al cambiamento.

Conclusione – Dalla rabbia alla responsabilità

In conclusione, l’indignazione sui social può essere un motore potente, ma solo se alimentato dalla conoscenza. Altrimenti, è un fuoco che brucia in fretta e lascia solo cenere. La sfida per la mia generazione è proprio questa: trasformare l’emotività in consapevolezza, la reazione in azione, l’indignazione in impegno.

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