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Il caso
09 Luglio 2025 - 15:30
Eppure, nel 2025 si ascolta più musica che mai: oltre 21,9 ore a settimana secondo il report FIMI. Ma ascoltare non significa davvero sentire. Con playlist cucite su umori e momenti della giornata, siamo immersi in un flusso continuo di canzoni pensate più per accompagnare che per emozionare. E oggi, più che mai, quel flusso è costruito a tavolino da software sempre più sofisticati.
La musica è diventata funzionale, certo. Ma funzionale a cosa? A intrattenere o a manipolare? Mentre ci abituiamo a un ascolto distratto, un nuovo nemico silenzioso si fa largo: la musica generata dall’intelligenza artificiale. Veloce, economica, algoritmica. E, soprattutto, in grado di infilarsi ovunque.
A guidare la rivoluzione artificiale ci sono nomi come Suno e Udio: piattaforme che, grazie a modelli di linguaggio addestrati (senza consenso) su miliardi di brani protetti da copyright, sfornano canzoni che somigliano sempre più a prodotti reali. L’obiettivo? Inondare lo streaming con suoni familiari, che non devono nemmeno piacere: basta che passino qualche secondo nelle orecchie di milioni di utenti distratti.
Lo ha detto apertamente Mikey Shulman, fondatore di Suno: “Fare musica richiede tempo e fatica. Oggi non è più piacevole”. Il risultato? Un oceano di brani senz’anima, generati in serie, che imitano lo stile di altri e puntano solo a diventare stream validi. Non opere artistiche, ma trappole acustiche.
In questo scenario si inserisce il caso più clamoroso: i Velvet Sundown. Una “band” mai esistita, creata interamente con IA, con artwork fasulli, biografie inventate e brani entrati in playlist seguitissime come Vietnam War Music o Good Mornings. Il trucco? Inserire le canzoni a intervalli strategici, alternandole ad altri brani veri, così da generare ascolti senza destare sospetti.
Il sospetto, però, è arrivato. Reddit ha fatto scoppiare il caso. E la truffa è emersa: dietro ai Velvet Sundown non c’era alcuna identità reale. Solo un progetto artefatto, spinto da algoritmi e costruito per intercettare nostalgie rock psichedeliche alla Khruangbin o Glass Beams. Il profilo Spotify ora nega tutto. Ma la sceneggiata ha già portato oltre un milione di ascoltatori mensili.
I Velvet Sundown non sono soli. Nomi come Aventhis, The Devil Inside o DV8 replicano la formula: generi datati, estetica retrò, sound contaminati da suggestioni country o funk. Sempre più “band” IA sembrano ossessionate dalla parola “dust” – polvere – come se l’intelligenza artificiale volesse ricordarci quanto effimera sia questa illusione di autenticità.
Suno e Udio saccheggiano decenni di musica marginale e di culto, costruendo falsi storici credibili e immediatamente digeribili. Perché il presente è confuso, difficile, sfuggente. Meglio replicare un passato rassicurante, dove tutto suona già sentito e, quindi, accettabile.
Eppure, nemmeno questi progetti artificiali conquistano davvero: pochissimi salvano le playlist, pochissimi ricordano ciò che hanno ascoltato. Perché in fondo tutto questo non è musica da ricordare. È rumore di sottofondo per un mondo che ha smesso di ascoltare davvero.
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