Non sarà un défilé, né tantomeno una presentazione.
Jonathan Anderson, enfant terrible del design britannico e oggi nuovo direttore creativo di
Dior, ha deciso che alla prossima
London Fashion Week (in programma dal 18 al 22 settembre) parteciperà… a cena. Sì, proprio così: un
evento riservato, su invito, in collaborazione con il
British Fashion Council. Un gesto coerente con la nuova visione lifestyle del brand
JW Anderson, ma anche un segnale potente sullo stato di salute della settimana della moda londinese.
Un calendario in chiaroscuro
A chiudere i cinque giorni di eventi sarà, come da copione, Burberry. Ancora una volta il marchio si conferma l’unico grande protagonista del calendario ufficiale. Dopo di lui, solo contenuti digitali: ben 27. In mezzo, le sfilate dei nomi consolidati – da Erdem a Richard Quinn, passando per Emilia Wickstead e Harris Reed – che però non riescono a competere con le grandi potenze della moda globale. I giganti del lusso britannico – da McQueen a Stella McCartney, da Vivienne Westwood a Paul Smith – ormai sfilano altrove.
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In compenso, Londra sembra aver riacceso il fascino per il fast fashion: tra i nomi in calendario figurano H&M e Zara, quest’ultima con una collezione Disney firmata dallo stylist delle star Harry Lambert. Un segnale dei tempi? Forse. Ma anche una spia del vuoto lasciato da una creatività che, almeno per ora, fatica a imporsi.
Emergenti in stand-by, menswear in fuga
Anche il ruolo di Londra come trampolino per i talenti emergenti appare appannato. Lo scorso aprile, il BFC aveva annunciato l’assenza delle passerelle uomo a giugno, sostituite da uno showroom itinerante previsto durante la Paris Fashion Week. Una scelta che ha il sapore del compromesso e che rivela, secondo la stessa Weir, una fragilità strutturale del sistema moda britannico. Mancano le infrastrutture, mancano gli spazi, mancano le risorse per sostenere davvero la crescita degli stilisti nel Regno Unito.
Da settembre, per incentivare le sfilate fisiche, il BFC eliminerà le quote di iscrizione per i designer che decidono di presentare le proprie collezioni dal vivo. Un piccolo passo verso quella che la CEO ha definito, non a caso, una “fase di reset”.
Moda senza clamore, ma con urgenza di rinascita
E così, in un’edizione ancora fragile e orfana di grandi nomi, la cena di JW Anderson diventa più che un evento: un simbolo. Della discrezione come linguaggio creativo, certo, ma anche di una scena che cerca nuove formule per restare rilevante. Se sarà l’inizio di una rinascita o l’ennesima prova della crisi identitaria della London Fashion Week, sarà il tempo – e forse anche la prossima stagione – a dirlo.