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Moda
23 Luglio 2025 - 15:15
Un giro d’affari da 28,3 milioni di dollari (pari a 24 milioni di euro) nel solo 2024, provenienti esclusivamente dalla vendita di abiti usati. Un indotto diretto da circa 8.000 posti di lavoro, 774 negozi sparsi tra Europa, Stati Uniti, Africa e Belize, oltre 31 milioni di clienti serviti in tutto il mondo. Non sono i numeri di un marchio del fast fashion, ma quelli della Federazione Humana People to People, la rete internazionale di ONG attive in 29 Paesi, con sede in Zimbabwe e registrazione in Svizzera, da sempre dedita a educazione, salute, cooperazione internazionale e sostenibilità.
Al centro del modello, un sistema virtuoso che coniuga beneficenza e circolarità, con i negozi a marchio Humana Vintage e Humana People che generano il 23% delle risorse per finanziare i progetti sociali promossi dalla federazione. In Italia, la filiale Humana People to People Italia ha ampliato la propria presenza con 20 negozi attivi in città come Milano, Roma, Torino, Bologna, Genova, Parma e Verona, e nuovi punti vendita previsti entro il 2025 anche al Sud.
Come riferisce su Pambianconews Luca Gilardi, direttore retail della divisione italiana, il nostro Paese rappresenta oggi un caso virtuoso: “Il 60% dei fondi per i progetti sociali italiani proviene dalla vendita degli abiti usati”. A giugno 2024 l’apertura di due nuovi negozi – uno a Parma e uno a Bologna – ha confermato la solidità di un trend che punta anche al potenziamento dell’e-commerce, attualmente ancora in fase sperimentale.
Il modello italiano segue fedelmente quello federativo: da un lato, una Scarl che gestisce il business della vendita; dall’altro, una ONLUS che incassa i proventi per le attività sociali. E sebbene l’utile netto nel 2024 sia calato drasticamente (da 402 mila a 14 mila euro), Humana ha ridotto il debito e aumentato gli investimenti a lungo termine, a testimonianza di una visione strategica duratura.
Gli abiti venduti – provenienti da contenitori stradali e donazioni – vengono selezionati manualmente, prezzati in base al mercato del nuovo e alle tendenze, per poi essere proposti sia nei negozi fisici che online. Nessuna aspirazione al resale di lusso, specifica Gilardi: “Puntiamo alla nostra mission sociale, non a presidiare nuove fasce di mercato”. Tuttavia, i rapporti con brand internazionali si intensificano. Tra le collaborazioni più recenti, spicca quella con Save the Duck, affiancata a nomi come Timberland, Patagonia, OVS, Woolrich, Apple, Amazon Logistics e Microsoft.
Il settore, però, non è privo di sfide. L’ultra fast fashion ha peggiorato la qualità dell’abbigliamento usato, mentre le nuove normative sull’ecodesign e la responsabilità estesa del produttore (EPR) stanno per ridisegnare l’intera filiera post-consumo. Una fase di trasformazione profonda, che però Humana sembra affrontare con la solidità di chi ha saputo trasformare un abito dismesso in uno strumento di sviluppo globale.
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