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Il caso
29 Agosto 2025 - 21:40
Il futuro di Google Chrome, il browser più diffuso al mondo, potrebbe essere deciso nei prossimi giorni in un’aula di tribunale di Washington. Un giudice federale statunitense è infatti chiamato a stabilire se accogliere la richiesta del Dipartimento di Giustizia USA e ordinare a Google la cessione del suo browser, dopo che nel 2024 era stato riconosciuto il monopolio illegale nel mercato delle ricerche online.
Se davvero arrivasse un ordine di divestitura di Chrome, si tratterebbe di una misura storica e senza precedenti, che aprirebbe scenari radicali per l’ecosistema digitale globale. In Europa, dove la Commissione UE sta portando avanti la sua stessa inchiesta antitrust contro il colosso di Mountain View, una decisione simile sarebbe accolta quasi con sollievo, dato che Bruxelles è sottoposta a forti pressioni politiche dall’amministrazione Trump a rallentare sul fronte Big Tech.
Secondo l’accademico Aurelien Portuese, “un’eventuale spin-off americano innescherebbe una risposta speculare in Europa”. Ma come sottolinea Christian Kroll, CEO del motore di ricerca berlinese Ecosia, una decisione di questa portata “potrebbe arrivare solo dagli Stati Uniti”.
Non mancano già gli interessi commerciali: la startup di intelligenza artificiale Perplexity AI si è detta pronta a offrire 34,5 miliardi di dollari per Chrome, cifra giudicata troppo bassa da molti analisti, che vedono nel browser “una delle società più preziose del pianeta” se fosse indipendente. Ma resta un nodo cruciale: a chi vendere senza rischiare di spostare il monopolio da un Big Tech all’altro? Tra le ipotesi più singolari, la proposta di Kroll: trasferire Chrome a una fondazione statunitense, con Ecosia a gestirne le attività in chiave no profit.
Non tutti, però, credono che la strada dello “spezzatino” sia quella giusta. Il gruppo Open Web Advocacy avverte che un’operazione del genere rischierebbe di portare “danni profondi e duraturi all’ecosistema del web”. Chris Coyier, cofondatore di CodePen, parla senza mezzi termini di “disastro assoluto per il web”, ricordando che Google ha investito miliardi negli standard tecnologici non per generosità ma per interesse economico.
Anche la fondazione Mozilla ha messo in guardia: senza i finanziamenti derivanti dagli accordi con Google, i browser indipendenti rischierebbero la bancarotta.
Dal canto suo, il gigante di Mountain View respinge con forza l’ipotesi di una cessione forzata. “La proposta del Dipartimento di Giustizia è senza precedenti e dannosa per i consumatori americani”, ha dichiarato Lee-Anne Mulholland, vicepresidente affari regolatori di Google.
La decisione del giudice, attesa entro lunedì, segnerà solo il primo capitolo di una battaglia che potrebbe durare anni: eventuali ricorsi potrebbero rinviare ogni esito definitivo fino al 2028. Nel frattempo, in Europa non resta che osservare: se gli Stati Uniti decideranno davvero di tagliare Chrome da Google, anche Bruxelles sarà costretta a rivedere la sua strategia.
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