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SALONE DEL LIBRO, OGGI SI COMINCIA

Nicola Lagioia: «Al Libro servono aiuti. Se il ministro ha bisogno, mi chiami»

Il direttore e la sua ultima edizione tra i momenti difficili, il quasi fallimento, il salvataggio, le notti a Vanchiglia e gli amici incontrati

Il “Salone off” si allarga fuori Torino con 600 eventi diffusi sul territorio

Nicola Lagioia, direttore del Salone del Libro

Nei giorni scorsi aveva preso posizione - manco troppo delicatamente - sulla querelle di Carlo Rovelli, invitato poi congedato poi di nuovo invitato a parlare per l’Italia alla Buchemesse di Francoforte, ma di norma Nicola Lagioia non ama essere trascinato per la giacchetta nelle discussione politiche. Oggi, però, al Salone arrivano per l’inaugurazione il presidente Ignazio La Russa e il ministro Sangiuliano. Qualcosa da chiedergli? «Ci vorrebbe una legge che tenga conto di case editrici, librerie, biblioteche e scuole che sono i grandi attori della partita. Se un ministro della Cultura mi volesse chiedere consigli, io sarò sempre prodigo nel darli». «Al cinema, non perché sia geloso, lo scorso anno sono stati dati 750 milioni di euro. Perché non ai libri? L’editoria non ha bisogno di assistenzialismo, ma ci vogliono leggi e bisogna investire risorse».
Per il resto, nei corridoi del Lingotto, c’è il fermento classico della vigilia, vigilia dell’edizione più grande di sempre, al punto tale da occupare persino la pista sul tetto del Lingotto - ma il meteo fa paura, anche considerando che la Sala Oro, sede dell’inaugurazione, è stata allestita all’esterno dell’Oval -, con un calendario di eventi impossibile da riassumere. Per l’ultima volta da direttore.

Nicola, ci siamo, che sensazione ha? C’è una lacrimuccia?
«Beh ovviamente c’è un trasporto emotivo particolare, perché dovrò lasciare un gruppo di lavoro che ho contribuito a creare, con cui mi sono trovato benissimo, poi c’è il rapporto con gli autori, con tutti gli editori, con tutta la comunità del Salone... Però sono anche molto felice perché lascio un Salone più solido, più grande e più bello di come lo avevo preso. C’è anche molta soddisfazione oltre all’emozione. Ma certo rimarremo tutti buoni amici, in ottimi rapporti. Perché quando crei certi legami è così. Poi, amerò sempre il Salone del libro e spero di esserne ricambiato»

“Attraverso lo specchio” è il tema di questa edizione. Come si inserisce nei nostri tempi? La letteratura attraversa lo specchio o troppo spesso ci si rimira e basta?
«La letteratura attraversa lo specchio, i grandi libri che continuano a essere scritti lo attraversano eccome. Certo, davanti allo specchio ci sono due figure: c’è Alice di Lewis Carroll e c’è Narciso, che però ci si specchia e quindi non riesce ad attraversarlo. Anzi, ci affoga dentro, perché vede solo se stesso. Al contrario Alice ha la forza e il coraggio di scoprire un altro mondo. I libri ci aiutano a fare questa cosa qui: non è “scapismo” in un altro mondo, ma crearlo. Poi ci sono i buoni libri e i cattivi libri...»

Il momento che ricorderà di più di questi anni?
«Forse la prima edizione. Ricordo che avevamo lavorato tantissimo, avevamo cominciato in ritardo perché c’era quella situazione terribile per cui il Salone rischiava di non esserci più. Avevo lavorato talmente tanto, anche sedici ore al giorno per mesi e mesi, da non avere il tempo di provare paura. Tanto che solo il giorno prima, quando tirai il fiato, ho cominciato a chiedermi: e se non viene nessuno? Stetti malissimo tutta la notte, poi l’indomani vidi il piazzale pieno e fu una grande emozione, un colpo al cuore»

E il momento più triste, o difficile?
«Non c’è dubbio: la morte improvvisa, a soli quarant’anni, di Alessandro Leogrande. Faceva parte della squadra, uno dei più valorosi intellettuali della sua generazione. Ed era anche un caro amico. I momenti difficili... ce ne sono stati tantissimi: il primo anno c’era stata la frattura con molti grandi editori spostati a Milano. Poi il fallimento della vecchia Fondazione. Il terzo ostacolo, il Covid. Ci siamo trovati a salvare il Salone per tre volte in sette anni. Ma il Salone si è rafforzato e questo è motivo di orgoglio»

Cosa si porterà dietro di Torino? Un quartiere, un locale?
«Io stavo moltissimo a Vanchiglia, quindi mi porterò dietro certi locali dove ho passato molto tempo e i tanti amici che ho conosciuto qui»

Il prossimo anno, in che veste tornerà al Salone: autore, direttore editoriale di Einaudi o semplice visitatore?
«Non capisco perché tutti continuate a dire questa cosa (ride, ndr). Einaudi il direttore editoriale ce l’ha, si chiama Ernesto Franco e io sono felicissimo che sia il mio direttore. Io vorrei continuare a essere semplicemente un autore, voglio bene alla mia casa editrice, sono contento che me ne voglia ma non ho ambizione di esserne direttore. Tornerò certo con qualche responsabilità di meno, spero come autore, certamente come amico».

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