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Il processo

Ucciso in casa dai rapinatori: ergastolo al killer

Sentenza per l'omicidio in villa a Piossasco. Per il complice 16 anni di carcere. Assolti gli altri imputati

Killer omicidio Piossasco

Emirjon Margjini, l'albanese condannato per l'omicidio di Piossasco

Laura Mai si limita a sorridere e ad abbracciare il cognato Enrico Mottura. Poi se ne va senza dire una parola sulla sentenza che mette la parola fine (per ora) all’incubo iniziato la notte fra l’8 e il 9 giugno 2021: quel giorno suo marito Roberto Mottura è stato ucciso con un colpo di pistola sparato da uno dei rapinatori che era entrato nella loro casa di Piossasco.

La vittima, Roberto Mottura

Quell’Emirjon Margjini, albanese di 32 anni, che pochi minuti fa è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’architetto 50enne. Per il suo complice, il 26enne Mergim Lazri, il reato è stato riqualificato in concorso anomalo in omicidio e la Corte d’Assise ha stabilito una pena di 16 anni di carcere. Tutti assolti gli altri quattro imputati, accusati di reati che vanno dal favoreggiamento alla violazione delle leggi sulle armi e alla detenzione di droga.

La rapina di 2 anni fa

«È stato tutto velocissimo. Dal momento in cui ho visto due sagome scure davanti alla televisione e sono scappata su, a quando ho trovato mio marito a terra, è passato un minuto e mezzo. Lo avevamo calcolato con i carabinieri. Mi hanno distrutto l’esistenza in un minuto e mezzo».

La moglie di Roberto Mottura aveva ricostruito così, durante la sua testimonianza in aula, gli istanti tra le tre e le quattro della notte a cavallo ra l’8 e il 9 giugno 2021. Quando i ladri entrarono nella loro cascina di via del Campetto a Piossasco, passando da una finestra alta tre metri da terra.

«Pensavamo fosse un falso allarme - aveva spiegato rispondendo alle domande dei pm Valentina Sellaroli e Marco Sanini - quindi sono scesa io. Dalla scala ho visto in sala due persone davanti alla tv. Ho gridato: “Ci sono i ladri!”, mentre salivo su. Uno dei due mi ha detto: “Signora, non urli"». Mentre la moglie, tornata al primo piano, dal balcone chiedeva aiuto ai vicini, il marito, in boxer e maglietta, scendeva per affrontare gli intrusi.

«Quando sono tornata sotto ho visto mio marito accasciato vicino alla finestra del soggiorno. Rantolava. Pensavo che avesse avuto un attacco di panico perché era bianco. Invece era morto».

E’ finita così, in pochi istanti, la vita dell’architetto Mottura, che lavorava come libero professionista ed era specializzato in allestimenti di barche.

La villa dov'è avvenuto l'omicidio

Condanne e abbracci

Da allora sono cominciate le indagini che, a ottobre 2021, avevano permesso ai carabinieri di arrestare Margjini e Lazri.

Il processo di primo grado è poi iniziato un anno dopo, incentrato su intercettazioni e celle telefoniche agganciate dai cellulari degli accusati. Non solo: l’allora fidanzata di Lazri ha raccontato in aula come l’uomo, il 9 giugno, le avesse detto «dobbiamo tornare giù (a Santa Maria Capua Vetere, in Campania - ndr) perché è successa una brutta cosa».
L’accusa aveva chiesto l’ergastolo per entrambi i principali responsabili, assistiti dagli avvocati Antonio Genovese e Pasquale Crea. Una richiesta accolta a metà dalla Corte, che ha assolto gli altri imputati: per loro i pm avevano chiesto condanne fra 1 anno e 4 anni e 6 mesi di reclusione, invece hanno potuto festeggiare la libertà fra sorrisi e abbracci.
La Corte, presieduta dalla giudice Alessandra Salvadori, ha anche condannato Margjini e Lazri a risarcire le parti civili, cioè moglie e figlio di Mottura, e ha assegnato una provvisionale immediatamente esecutiva di 300mila euro a testa.

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