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L'INTERVISTA DELLA SETTIMANA

Enrico Ruggeri si confessa: «Per conquistare le donne usavo un pitone, ma ora vado a letto presto»

Il cantante stasera sul palco di Carmagnola con i suoi più grandi successi

Enrico Ruggeri

Enrico Ruggeri

Mentre il telefono squilla, la mente vaga. «Cosa si cerca, quanto si dà, quando si ama davvero? Mistero». E ancora. «Come fare non so, non lo sai neanche tu. Ma di certo si può dare di più...». Poi una voce ruvida risponde. È Enrico Ruggeri.


Ruggeri parliamo di donne, le va?
«Parliamo di donne».

Lei ha scritto per Fiorella Mannoia una delle canzoni più apprezzate dall’universo femminile, “Quello che le donne non dicono”. È un testo ancora attuale?
«Credo di sì, se la si interpreta nel modo giusto. “Quello che le donne non dicono” è la canzone delle speranze disattese. L’ho scritta raccogliendo sfoghi di donne che mi hanno raccontato come i loro uomini non si siano dimostrati all’altezza di quello che avevano promesso in una prima fase di corteggiamento. Credo che sia un tema destinato a durare nel tempo. Poi oggi l’uomo è anche più smarrito».

Cosa intende?
«L’uomo oggi è frastornato perché ha fatto sostanzialmente quello che gli pareva per qualche migliaio di anni e adesso – giustamente e inevitabilmente – le cose sono cambiate. E l’uomo fa fatica a capirlo. Questo porta anche a risvolti tragici».

Il caso Bertè ha scosso l’opinione pubblica. Lei la conosce?
«Conosco Loredana molto bene».

 

L’ha sentita dopo il racconto dello stupro?
«No. Ci sono tante storie come questa che sono rimaste sotto la cenere e che adesso escono alla luce del sole. Ci sono stati anni in cui le donne che subivano violenza si vergognavano. Si sentivano colpevoli e temevano di essere giudicate. È inutile nascondersi dietro a un dito: un avvocato che difende uno che ha violentato una donna non può che cercare di percorrere la tesi spregevole del “lei forse un po’ ci stava”».

Cosa ci può raccontare del mondo delle tournée?
«In realtà non è una realtà molto diversa da quella di un ufficio: ci sono persone che lavorano assieme e si creano amori e legami. La vera differenza è tra chi va in tournée e il pubblico. Il musicista ha un appeal maggiore, questo sta nell’ordine delle cose».

Ha detto in un’intervista che aveva 150 concerti l’anno e, se andava bene, andava via con una donna a sera. Vuol dire che a volte andavate via in tre?
«Guardi è un discorso molto semplice: quando un uomo corteggia una donna cerca di mostrare la parte migliore di sé. Nel caso di uno che scrive canzoni, la parte infinitamente migliore di sé la mostra subito durante il concerto, con la musica. A fine serata possiamo dire che il corteggiamento è già avvenuto. Parlo di anni passati in cui ero diciamo più “vivace”. Ormai non è più così».

Vivace al punto da andare in giro con un pitone per fare colpo sulle ragazze?
«Sì, ma a 16 anni. Non ero ancora famoso e facevo davvero qualsiasi cosa pur di attirare l’attenzione delle donne».

Oggi non è più così? È innamorato?
«No, diciamo che sono cicli di vita diversi. A 66 anni finito il concerto te ne vai a dormire».

Due volte vincitore a Sanremo. Come è cambiato il Festival? Influencer e social lo hanno peggiorato?
«È cambiato il mondo ed è cambiato anche Sanremo. Chi l’ha organizzato ha puntato a un pubblico molto giovane che non guardava Sanremo, sperando che gli spettatori più grandi lo guardassero comunque. Cosa che credo sia avvenuta, visti gli ascolti».

Le è piaciuta la Ferragni presentatrice?
«Non sono preparato, non l’ho visto. Però sicuramente è stato un festival tagliato più sui 14enni che sui 50enni».

Ed è un male?
«No, ma è una scelta editoriale ben precisa».

Come l’hanno presa i suoi quando, giovane studente di Giurisprudenza, disse loro che avrebbe fatto il cantante?
«Mica tanto bene. Mia madre è andata avanti a pagarmi le tasse universitarie per molti anni. Ha smesso quando ho vinto Sanremo. Poco prima le avevo regalato la casa nella quale stava. Lì ha capito che forse non avrei più ripreso gli studi. Avevo 29 anni. Sul rogito si è convinta».

E suo padre?
«Lì la storia è più complicata. Mio padre non stava bene ed è morto quando avevo 26 anni».

Riprendendo la canzone con cui vinse Sanremo, pensa che avrebbe potuto dare di più in qualcosa nella sua vita?
«Forse avrei potuto fare qualche scelta strategica migliore. A volte mi sono fidato delle persone sbagliate. Sono stato un po’ ingenuo. Non sono mai stato un uomo d’affari».

A cosa si riferisce?
«Diciamo che negli ambienti dove girano i soldi ci sono quelli più e meno bravi a maneggiarli. Può capitare che si resti impigliati in reti sgradevoli. Persone che credevo amiche mi hanno giocato qualche brutto tiro. Comunque ho fatto 39 album in cui mi riconosco pienamente. Dal punto di vista artistico sono soddisfatto. Ho scritto otto romanzi, fatto 3.500 concerti…»

3.500 concerti?
«Aspetti, li annoto. Le dico esattamente: sono stati 3.382».

Caspita. Parliamo di musica allora, c’è un duetto che le è rimasto nel cuore?
«Forse quello con Midge Ure a Sanremo. È stato credo il momento più bello per me a Sanremo, vittorie comprese».

Uno che invece vorrebbe fare e non ha ancora fatto…
«Non saprei. Mi auguro che nascano nuove sorprendenti amicizie. È poi così che nascono i duetti. È successo con Elio, con Fiorella, Morandi e Tozzi. È sempre stata la conseguenza di amicizie… O quanto meno di affinità. Amicizia è una parola da usare con cautela».

Cos’è per lei l’amicizia?
«È una cosa seria. Ora la parola amici è stata svalutata da Facebook. Il mio è un ambiente in cui quando muore qualcuno tutti corrono a dire “era un mio grande amico”. Ecco, generalmente non è vero».

Nei suoi ultimi lavori ha voluto raccontare l’Alzheimer. Come mai?
«È stato un caso della vita. Come nazionale cantanti avevamo fatto delle partite per una associazione di Monza, che si chiama Meridiana, dove ci sono persone con l’Alzheimer. Ho conosciuto quella realtà e ho ricevuto delle sensazioni molto forti. E così mi è uscita questa canzone».

Altri progetti per il futuro? Una canzone nel cassetto magari
«Diciamo che in questo periodo non è incoraggiante pubblicare canzoni».

Come mai?
«Se non scrivi un pezzo mettendoci dentro delle parole spagnole a caso e citi qualche cocktail difficilmente avrai successo. Per dire, la canzone “Dimentico” di cui parlavamo prima sull’Alzheimer posso definirla un successo, ma le radio si sono guardate bene dal trasmetterla. Probabilmente c’erano troppi verbi e congiuntivi. Temevano di spiazzare i propri ascoltatori. L’avranno giudicata troppo complessa».

Lei però non si è piegato alle leggi della radio.
«No, io non mi piego, ma di certo non esplodo dalla voglia di fare dischi in questo scenario».

La ritroveremo stasera sul palco della Fiera Nazionale del Peperone di Carmagnola. Riproporrà i suoi cavalli di battaglia?
«Naturalmente. Ci sono una dozzina di canzoni obbligatorie».

Cosa prova prima di salire sul palco?
«C’è molta più voglia di una volta. Avendo meno concerti davanti, me li godo ancora di più. Quando hai 20 o 30 anni sali sul palco e ti senti un dio in terra. Pensi che la cosa duri per sempre. Alla mia età, sai che la cosa non durerà all’infinito e quindi te li godi di più».

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