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IL COMMENTO

Occhetto ricorda Napolitano: «Quando scelsi Berlinguer tra noi cambiò tutto»

Nel giorno dei Funerali laici di Stato, l'ultimo segretario del Pci racconta "l'amico-nemico" di tante battaglie

Achille Occhetto

Achille Occhetto

La commozione nella voce della nipote Sofia nel ricordo di quel «nonno formidabile», le bandiere della Banca centrale europea a mezz'asta, l'Inno di Mameli, le parole del figlio Giulio dopo quel lungo applauso. Si è tenuto questa mattina il Funerale laico di Stato del Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, morto venerdì 22 settembre, all'età di 98 anni. 

«Con lui se ne va un compagno di tante battaglie». L'ultimo segretario del Pci, Achielle Occhetto ricorda così "Re Giorgio", il compagno Napolitano, l'amico- nemico di una vita. Tanti terreni di scontro li hanno visti su fronti opposti nell'agone politico ma tra i due, entrambi protagonisti della Prima Repubblica, non è mai mancato il rispetto reciproco.  

Occhetto, che rapporto aveva con Napolitano?
«I nostri rapporti sono sempre stati civili e spesso affettuosi. Ricordo anche la sua sincera commozione quando, subito dopo la sua elezione, l’ho chiamato per congratularmi con lui. Ricordo la sua funzione quando, nel primo viaggio come segretario del Pci, quando lui responsabile della politica esteri, mise in campo il suo meticoloso e attento contributo per costruire una importante rete di incontri. E anche la sua precisa collaborazione alle mie iniziative verso i socialisti europei per l'entrata dell'Internazionale socialista».

Era un comunista “anomalo” per il suo tempo?
«Era un convinto europeista. Direi che lo fu prima di molti altri a livello europeo e nelle politiche economiche nazionali. Abbiamo avuto accordi importanti, ma anche importanti divergenze».

Ad esempio?
«Soprattutto quando, come membro della direzione del partito, fui chiamato alla scelta tra lui e Berlinguer. Scelsi Berlinguer. Successivamente fu lui contrario alla mia elezione come segretario.

Possiamo dire che a dividervi fu Berlinguer?
«Ci divisero le sue critiche alla questione morale di Berlinguer. Il quale invece aveva avuto il merito di porre per prima un tema cruciale non chiamando in campo la magistratura, ma chiedendo la riforma della politica che fu proprio rifiutata da Craxi».

Compagni di partito, eppure spesso eravate su fronti opposti.
«Abbiamo avuto un atteggiamento diverso verso la globalizzazione a la direzione neoliberista, oltre che sulle politiche dell'austerità. Ebbi molti dubbi quando, come Presidente della Repubblica, dinanzi alla bancarotta di Berlusconi, invece di inviarci alle elezioni, Napolitano ha tessuto la tela del governo tecnico a cui è seguita la crisi della sinistra. Però, malgrado questa, il nostro rapporto è sempre stato caratterizzato da una serena discussione e mai dall'astio personale. Ci fu una collaborazione fra diversi che oggi non si vede più nella politica italiana».

Quale eredità lascia Napolitano al Paese?
«I suoi meriti rimangono nella storia del Paese. Poi vorrei in questo momento di lutto del Paese, rivolgere anche un abbraccio affettuoso ai figli, alla sua compagna Cleo, che è stata una roccia, un pilastro della sua vita».

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