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Il processo

Fatima, lanciata a 3 anni dal balcone: perchè è stata uccisa dal patrigno

I giudici spiegano perchè hanno condannato Mohssine Azhar all'ergastolo

fatima bambina torino gn

La piccola Fatima

Mohssine Azhar ha lanciato la piccola Fatima dal balcone, come se fosse un oggetto, una “cosa”. Ha agito per rabbia, per una ripicca e perché era annebbiato dall’alcol. Un gesto spontaneo, che vale la condanna all’ergastolo per omicidio volontario.

Lo ha deciso la Corte d’Assiste di Torino, guidata dalla giudice Alessandra Salvadori, che lo scorso 28 giugno ha condannato Azhar, marocchino che fra un mese compirà 34 anni.

Ora, in 65 pagine di motivazioni, spiega com’è arrivata alla sentenza. Un documento che ricostruisce tutto l’inchiesta e poi definisce la verità processuale sui fatti del 14 gennaio 2022, quando Fatima è morta a 3 anni dopo un volo dal quinto piano del palazzo di via Milano 18: «La bimba e sua madre, Lucia Chinelli, abitavano al quarto - premette la Corte - Quella sera sono salite a casa di Azhar». Il marocchino aveva una relazione con la donna «per avere i documenti», come aveva ammesso lui stesso alla sorella.

La sera del 14 gennaio era ubriaco quando ha ricevuto quella visita imprevista. Erano le 21.18. Alle 21.21 la piccola è precipitata: cos’è successo in quei tre minuti? L’imputato, durante l’indagine e poi il processo, ha cambiato più volte versione: «Tutte false - scrivono i giudici - Ed è una scelta sintomatica e con alto valore indiziario: se fosse stato un incidente, sarebbe stato del tutto insensato e illogico inventarsi una complicata diversa dinamica della caduta». Non solo, le testimonianze descrivono il 34enne marocchino come “accecato” al momento dei fatti. E i suoi coinquilini hanno subito detto «l’ha buttata, cogl...: scappiamo o marciremo in galera».

I consulenti della difesa, però, ipotizzavano che Azhar potesse essere inciampato o aver fatto cadere la bimba durante il gioco del “vola-vola”: «Sono ricostruzioni senza alcun appiglio fattuale - esamina la Corte, ricostruendo quanto spiegato nel processo dai periti che hanno analizzato la caduta di Fatima - L’esame complessivo di tutti gli atti di indagine lascia spazio unicamente a una conclusione: l’imputato era in stato di alterazione e, nel corso di una discussione con la Chinelli relativa a chi dovesse tenere con sé la bambina, ha preso Fatima Skika in braccio, e adirato con la donna, ha volontariamente gettata la piccola dal balcone».

Si è trattato di un omicidio volontario aggravato dai futili motivi ma non dalla crudeltà: «Per qualche fatale istante la bimba è diventata nella mente dell’imputato un semplice oggetto, un mero strumento mediante il quale avere la meglio nell’ambito di un conflitto insorto per ragioni inconsistenti con la madre della piccola».

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