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Le motivazioni della sentenza

«Se mi trovi morto, è stata mia moglie»: ecco perchè la vedova è stata assolta nonostante l'accusa dall'aldilà

Ettore Treglia aveva mandato messaggi inequivocabili all'amante: «Ma infarciti di menzogne» secondo i giudici

Ettore Treglia

Ettore Treglia, trovato morto il 5 aprile 2021

Sembrava un’accusa schiacciante, mossa il 3 aprile 2021 con un messaggio WhatsApp: «Se non mi senti, sai chi denunciare» aveva scritto Ettore Treglia alla sua amante pugliese. Quando il 50enne torinese è morto davvero, due giorni dopo, la donna ha presentato denuncia e ha puntato il dito contro la moglie di Treglia, la 48enne Gaja Prencipe: «Messaggi infarciti di menzogne» scrivono i giudici nelle 50 pagine di motivazioni della sentenza con cui hanno assolto Prencipe dall’accusa di omicidio. Una sentenza che, se il pm Paolo Capelli non farà ricorso, diventerà definitiva.

Quindi la morte di Treglia sarà considerata “naturale” al termine di due anni e mezzo fra indagini e processo in Corte d’Assise, cominciati con un’autopsia considerata inammissibile (perché non era stata avvisata la moglie, già indicata come possibile assassina dall’amante). Per questo il medico legale Roberto Testi era stato incaricato di accertare la causa del decesso: «E’ da indicare, in termini di elevata probabilità, in asfissia meccanica, dovuta a strozzamento». Quindi, secondo il perito, Treglia é stato soffocato e ucciso.

Ma era in condizioni di salute «pessime», fumava, aveva avuto un carcinoma laringeo e si nutriva con il sondino. E la notte del 5 aprile aveva un tasso alcolemico superiore a 3 grammi di alcol per litro di sangue, dove sono state trovate anche tracce di cannabis e psicofarmaci: «Condizioni che giustificano ampiamente la morte per cause naturali e rendono impossibile affermare con tranquillizzante certezza una morte violenta - scrive la Corte, presieduta dalla giudice Alessandra Salvadori - Le ipotesi di un decesso determinato da patologie pregresse o intossicazione sono più plausibili rispetto all’omicidio».
Restano i messaggi all’amante, «senza i quali il processo non avrebbe avuto neanche avuto avvio». Ma quelle accuse arrivate dall’aldilà vanno inserite in un «contesto di continue mistificazioni, falsità e palesi esagerazioni»: nelle motivazioni, i giudici ricordano come Treglia fosse «uomo propenso a ingigantire, inventare e mentire», anche nella stessa conversazione in cui accusava la moglie. All’amante pugliese aveva detto di essere separato. E tre mesi prima aveva scritto anche a lei: «Mi stai ammazzando».

Di conseguenza, il 50enne è considerato «non attendibile e non affidabile». Particolari che si aggiungono alla mancata certezza di una sua morte violenta. E che portano soltanto a una conclusione, secondo la Corte d’Assise: «Non si può superare il ragionevole dubbio: principi di civiltà, prima che di diritto, impongono di pronunciare una sentenza di assoluzione».

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