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la situazione
13 Dicembre 2023 - 08:34
Ecco come si presentano i nostri pronto soccorso
Rosanna, 70enne arrivata accompagnata dalla figlia, per farsi sentire meglio tira giù la mascherina Ffp2 e bisbiglia: «Io la avviso, sono qui che aspetto da un’ora e mezza, se vuole passare si armi di pazienza». E come lei, di “santa” pazienza si sono armate tutte le altre persone che affollano il pronto soccorso dell’ospedale Molinette. Una mattinata come tante altre, di metà dicembre, molti torinesi hanno già l’influenza - e poi c’è il Covid che è sempre l’incubo mai scacciato - eppure il picco del virus è ben lontano da venire. Tuttavia i nostri ospedali sono già in forte affanno e per capirlo basta fingersi “malati per un giorno” e recarsi in uno dei presidi sanitari della città. Alle Molinette, ad esempio, dove la situazione è già parecchio allarmante. Pazienti, anche anziani, costretti in barella attendono di essere trasportati nei loro rispettivi reparti. Donne in carrozzina alzano la mano per attirare l’attenzione dell’infermiera o del medico che sta passando, nella speranza di ricevere informazioni sul loro destino. Per testare quanto si può attendere, dal pre-triage fino al momento della chiamata, meglio fingere un malore di lieve entità, come ad esempio dei forti giramenti di testa dovuti a uno svenimento. Nel caso, trenta persone in attesa. «Come faccio a parlare con un dottore?», la domanda che in un’oretta ripetono almeno tre utenti. La risposta, amaramente vera, arriva da una donna che, vista l’espressione del suo viso sta aspettando da parecchio tempo: «Non prendete impegni in giornata se volete stare in questo posto».
Intanto, sulle porte campeggiano ancora i seguenti avvisi: “Vietato l’ingresso a parenti senza autorizzazione del personale. Entrare solo se chiamati”. Residui dell’epoca pandemica, anche se la situazione non sembra affatto cambiata perché gli accessi continuano ad essere contingentati. Passati tre quarti d’ora dal pre-triage, con la chiamata che continua ad essere una chimera, dalle Molinette si trasloca al Maria Vittoria. Ma anche al presidio di via Cibrario, al pronto soccorso, il film che viene girato è lo stesso: utenti che sgomitano in sala d’attesa e che consumano caffè alle macchinette per ingannare il tempo che non passa mai. Un signore in carrozzina canticchia, mentre in mano tiene il foglio del pre-triage: codice bianco, quindi passerà chissà quando. Anche qui, sulle porte c’è scritto “vietato l’ingresso agli accompagnatori”, quindi può entrare solo il paziente. E’ così dalla pandemia, quando gli ospedali sono diventati “fortezze” da proteggere mentre i pazienti Covid affollavano i reparti. Al Maria Vittoria, una delle aree messe peggio è la radiologia, dove c’è una lunga fila di pazienti in barella. Si libera un posto, viene subito riempito.
Dobbiamo preoccuparci? L’infettivologo Giovanni Di Perri, giusto un paio di giorni fa aveva avvertito: «In un mese vedremo il sovraffollamento degli ospedali e la carenza dei posti letto». In realtà, la carenza s’intravede già da ora. Le corsie sono piene, le sale d’aspetto ancora di più, le attese per una chiamata arrivano a sfiorare le due ore. E non siamo nemmeno a Capodanno, data da cerchiare in rosso alla voce ospedali stracolmi.
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