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L'intervista della settimana
17 Dicembre 2023 - 12:00
Da anni siamo abituati ai migranti che, dall’Africa, partono per cercare fortuna in Italia. Ma c’è anche chi ha fatto il percorso inverso, si è costruito un lavoro e contribuisce alla crescita del Paese che l’ha accolto, finanziando una scuola arrivata a ospitare 250 studenti.
È la storia di Francesca Guazzo e Stefano Pesarelli, torinesi che nel 2004 sono partiti per il Malawi. Da allora vivono e lavorano lì grazie al loro “Africa Wild Truck”, tour operator locale specializzato in viaggi fra Malawi, Zambia, Mozambico, Tanzania, Botswana e Kenya. In questi giorni sono a Torino e proprio ieri hanno raccontato dei loro progetti a Cascina Roccafranca.
Come avete deciso di iniziare quest’avventura lunga quasi vent’anni?
«Per la tesi di laurea di Francesca in Architettura, abbiamo fatto un viaggio di 4 mesi verso un’isola del Mozambico. Un viaggio lungo 23mila chilometri sulla nostra vecchia Fiat Campagnola, che ha dato il via a tutto».
Da lì è nato il progetto che dura ancora oggi, Africa Wild Truck.
«Siamo tornati, abbiamo comprato un truck allo spaccio dell’esercito di Pinerolo, lo abbiamo attrezzato e modificato per “esportarlo” in Malawi. Poi abbiamo aperto il nostro tour operator, iniziando ad accompagnare soprattutto gruppi di nostri amici.
Perché proprio in Malawi?
«Ci siamo innamorati di questo Paese, forse perché le distanze non sono tanto da Africa ma più da Piemonte: nell’arco di 3-4 ore si vedono paesaggi molto diversi e dal punto di vista turistico è più attrattivo».
Nel tempo la vostra attività è cresciuta parecchio.
«Sì, dopo l’attività di safari, nel 2017 abbiamo aperto un lodge con ristorante. Oggi abbiamo una ventina di collaboratori».
Francesca Guazzo, 45 anni, e Stefano Pesarelli, 54, sono entrambi torinesi e hanno studiato al Politecnico. Ma non hanno mai fatto l’architetto e l’ingegnere: tra 2004 e 2005 hanno cambiato vita, partendo da un viaggio in Mozambico per la tesi di laurea di Francesca. Così è nato il tour operator Africa Wild Truck, che ha sede in Malawi e da allora accompagna turisti in giro per i paesi dell’Africa centrale. Sono entrambi fotografi, autori di guide di viaggio e genitori del piccolo Lorenzo. Da anni finanziano una scuola vicino alla loro sede, a Mulanje.
Com’è cambiata l’Africa in questi anni?
«È cresciuta e migliorata, ci sono più strade e per il nostro lavoro è più semplice. Non abbiamo più bisogno di un mezzo militare per spostarci, bastano dei normalissimi fuoristrada per vedere bellezze straordinarie e autentiche. Ma il Malawi resta ancora un Paese molto agricolo, praticamente senza giacimenti e attività produttive: ci sono molte difficoltà economiche, dovute anche ai cicloni e agli effetti di un evidente cambiamento climatico».
In Italia e in Europa si vedono le conseguenze di queste difficoltà economiche, con le ondate migratorie.
«Dal Malawi non ci sono molte partenze perché gli abitanti tendono ad accontentarsi di quello che hanno. Al di là degli stereotipi, però, c’è anche tanta voglia di crescere dal punto di vista economico, culturale e tecnologico. Per fortuna non c’è ancora l’ansia di produzione che vedo in Italia, c’è un clima più caldo e rilassato in tutti i sensi».
Voi state provando a “restituire” qualcosa dell’ospitalità che avete ricevuto dalla popolazione locale.
«Abbiamo cercato di non piombare qui come il classico “uomo bianco”. Abbiamo chiesto nei villaggi di cosa avessero bisogno, quindi abbiamo fondato un’associazione che si chiama Around AWT, che ha come progetto la fondazione e il sostegno a 360 gradi di una scuola parificata e gratuita. Nel 2018 abbiamo ristrutturato un edificio proprio davanti alla nostra sede e siamo arrivati a 250 studenti, che altrimenti avrebbero dovuto camminare per 5 chilometri. Oggi abbiamo 107 ragazzi su quattro classi, cui forniamo cibo ed educazione esclusivamente grazie alle donazioni di amici e viaggiatori».
A cosa è dovuto questo calo di iscritti?
«Durante il Covid le scuole in Malawi sono state chiuse per sei mesi. Poi è stato difficile ripartire, si erano frenate anche le raccolte fondi».
La pandemia ha azzerato anche i viaggi e anche il vostro tour operator ha sofferto, evidentemente.
«Dopo il blocco iniziale, è subentrata la paura ed è diminuita la voglia di condividere le esperienze. Non ci sono più i grandi gruppi che accoglievamo prima della pandemia, ora sono viaggi più personalizzati e autonomi. Ma il numero complessivo resta di 80-100 esperienze all’anno».
Vedete il vostro futuro ancora in Malawi?
«Di certo organizzeremo nuovi viaggi e continueremo con le attività di volontariato. Sul lungo termine è difficile rispondere ma non crediamo che ci staccheremo mai del tutto dal Malawi, anche perché ormai abbiamo passato qui metà della nostra vita e c’è una bella comunità italiana. E poi c’è Lorenzo, nostro figlio che è nato in Italia ma ha vissuto i suoi 5 anni in Africa: in questi giorni ha scoperto il freddo di Torino e, appena sceso dall’aereo, ha detto che vuole ritornare in Malawi...».
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