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IL CASO
01 Febbraio 2024 - 07:00
Matteo Piantedosi
Il caso Askatasuna arriva in Parlamento. È il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a ripercorre, passo dopo passo, la storia giudiziaria del centro sociale occupato fin dal 1996 e a chiedere «un approfondimento alla Prefettura di Torino». Il titolare del Viminale poi, parlando della proposta della giunta comunale di Torino di rendere la casa di Aska un “bene comune” della città, mantiene una linea dura. Questa iniziativa «non deve costituire, in alcun modo, una sorta di legittimazione, o addirittura di premio, per l’operato di un centro sociale che si è distinto negli anni per l’esercizio della violenza, piuttosto che per il dialogo e il confronto democratico orientato al bene comune».
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Un affondo diretto durante il question time richiesto dalla vice capogruppo alla Camera, Augusta Montaruli. «È inaccettabile la violenza politica avallata dalle istituzioni» rimarca l’onorevole di Fratelli d’Italia, rilanciando l’intenzione di indire un referendum abrogativo popolare per cancellare il testo. «Nella sigla “Autonomia Contropotere” sbandierata da questi finti ribelli non c’è mai stata alcuna autonomia. Sono sempre stati “con il potere”, quel potere che oggi consente questo scempio di delibera» conclude Montaruli. Ed è ancora il ministro dell’Interno a ricordare recenti manifestazioni studentesche «sfociate in scontri con le forze di polizia, come in occasione della visita a Torino della presidente del Consiglio, lo scorso mese di ottobre». Infine, non sfugge a Piantesosi l’implicazione che il centro sociale ha il Valle. «Anche la Corte di Cassazione - rimarca - ha evidenziato che Askatasuna avrebbe creato, soprattutto in Val di Susa, un vero e proprio “laboratorio di sperimentazione” per quanto riguarda le violenze, confermando così la sussistenza di un’organizzazione stabile che ha dimostrato di essere operativa in più ambiti».
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Mentre a Roma si consuma il question time, a Torino, è il presidente della Regione Alberto Cirio a tornare sul caso del giorno, citando la sua esperienza personale. «Senza legalità non ci deve essere nessuna libertà perché vorrebbe dire violare quella di qualcun altro» commenta Cirio a chi gli chiede conto della delibera della giunta comunale. «Vivo da quattro anni sotto scorta - prosegue -. E ho ricevuto minacce. Quattro anni fa, ricorderete i volantini con la mia faccia al posto di quelli del povero Aldo Moro e pare arrivassero da ambienti dell’area antagonista» ricorda a margine dell’incontro con la Corte dei Conti. «Sono a favore della libertà di pensiero, ma deve esserci legalità» conclude.
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