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Economia & Politica
24 Giugno 2024 - 13:50
Si infiamma la guerra dei dazi fra l’Europa e la Cina. Perché se da un lato, dopo le imposizioni sulle vetture elettriche cinesi, le diplomazie si sono messe al lavoro, dall’altro arriva una accusa pesantissima: dalla Cina accusano l’Unione Europea di spionaggio.
Lo sviluppo più recente riguarda il ministro cinese del Commercio Wang Wentao e il vicepresidente della Commissione Ue con delega al Trade, Valdis Dombrovskis, che pochi giorni fa hanno concordato di avviare i colloqui. Wang Wentao ha incontrato di persona il vicecancelliere tedesco e ministro dell’Economia Robert Habeck, in visita ufficiale a Pechino. Wentao ha auspicato che «la Germania svolga un ruolo positivo spingendo la parte europea ad incontrare la Cina a metà strada. In caso contrario la Cina adotterà le misure necessarie».
La questione scottante parte dal “sondaggio” della Commissione Europea sui fabbricanti cinesi che stanno sbarcando in Europa - alcuni anche alla ricerca di stabilimenti produttivi -, un sondaggio per accertare che non vi siano state pratiche di “dumping”, ossia di turbamento della legittima concorrenza. Il risultato è che per l’Europa alcune Case hanno fornito collaborazione adeguata, altre insufficiente, altre ancora sono state considerate ostacolanti. Da qui, la scelta di predisporre i dazi compensativi sulle importazioni in misura progressiva e sulla base della collaborazione mostrata: il massimo delle imposizioni dunque arriva al 38%.
Per Pechino «la quantità di informazioni dettagliate sulle catene di approvvigionamento delle Case automobilistiche cinesi che la Commissione europea ha richiesto durante l’indagine anti-dumping di otto mesi è stata senza precedenti e ha minato la concorrenza leale», come detto il ministero del commercio cinese He Yadong. Per il quale, la mole di informazioni richieste è stata «ben superiore» a quanto di prassi in una operazione antidumping. E la stampa cinese ha parlato esplicitamente di «spionaggio»: l’Europa, di fatto, cerca di capire non solo le pratiche commerciali, ma le dinamiche finanziarie interne - oltre ai contributi pubblici, quasi tutte le Case hanno lo Stato nella proprietà - e persino l’utilizzo di tecnologie più competitive rispetto ai costruttori nostrani (come ben sa Stellantis, per esempio, che ha avviato la joint venture con i cinesi di Leapmotor, facendone il quindicesimo marchio del Gruppo), e anche «l’approvvigionamento di materie prime per le batterie, la produzione di componenti, i prezzi e lo sviluppo di canali di vendita» come sottolineato da Yadong.
IL SEGRETO DELL'AUTO CINESE: 280 MILIARDI DI DOLLARI DI AIUTI DI STATO
Da poche migliaia di vetture prodotte, a colosso del mercato dell’auto elettrica. È cambiata rapidamente la situazione industriale in Cina, soprattutto nell’automotive, e le vetture elettriche orientali sono concorrenziali rispetto a quelle occidentali: a livello produttivo, si calcola un 40% in meno di costi. E un 30% almeno in termini di prezzo alla vendita. Ma cosa c’è all’origine di questo boom? Una gran massa di denaro pompata dallo Stato, con l’appoggio delle banche.
Secondo un report del Center for Strategic and International Studies (Csis) i veicoli elettrici cinesi hanno indubbiamente beneficiato di un massiccio sostegno della politica industriale cinese, ma al contempo la qualità di questi veicoli è migliorata notevolmente, rendendoli sempre più attraenti sia per i consumatori nazionali che esteri. Andando ai numeri, l’analisi del Csis rivela che, dal 2009 al 2023, il governo cinese ha destinato complessivamente 230,8 miliardi di dollari al settore dei veicoli elettrici. Durante i primi nove anni (2009-2017), il finanziamento annuo era di circa 6,74 miliardi di dollari, poiché il settore era ancora agli albori. Tuttavia, la spesa è circa triplicata nel periodo 2018-2020, per poi aumentare ulteriormente a partire dal 2021.
Il sostegno governativo è partito da sconti per gli acquirenti a livello nazionale, esenzione dall’imposta sulle vendite del 10%, finanziamenti per le infrastrutture di ricarica, programmi di ricerca e sviluppo per i produttori di veicoli elettrici e appalti pubblici di veicoli elettrici. Poi, nel 2022, il governo centrale cinese ha ridotto gli sconti per gli acquirenti a causa degli elevati costi e del desiderio di vagliare il campo dei produttori, eliminandoli del tutto a partire dal 2023.
Il report non include però il valore del supporto fornito ai distretti industriali attraverso terreni a basso costo, elettricità agevolata e credito, che sono difficili da quantificare ma rappresentano un contributo sostanziale per alcuni produttori di veicoli elettrici. Un recente rapporto della Banca Mondiale ha indicato che nel 2022 il settore automobilistico cinese ha beneficiato di prestiti con tassi di interesse intorno al 2%, circa la metà della media ponderata di tutti i prestiti commerciali e industriali. Inoltre, alcuni produttori privati di veicoli elettrici hanno ricevuto finanziamenti azionari da enti statali. Un esempio significativo è rappresentato da Nio, che nel 2020 ha ottenuto un’iniezione di 5 miliardi di yuan dal governo municipale di Hefei in cambio di una partecipazione del 17% nel core business dell’azienda. Successivamente, Hefei ha incassato la maggior parte delle sue partecipazioni nel 2022. Al netto poi di quelle aziende che sono direttamente di proprietà statale.
Anche EVE Energy, quarto produttore di batterie in Cina, ha ricevuto sussidi per 208,9 milioni di dollari nel 2023.
Ora, quindi, la parola passa alle diplomazie, perché lo scontro potrebbe spostarsi dal settore automotive a quello commerciale: da Pechino hanno già annunciato dazi sull’importazione di prodotti alimentari europei, come i formaggi italiani che costituiscono una parte consistente del business.
Proprio da Stellantis, nei giorni scorsi, era arrivata una critica a questa «politica protettiva». Per Carlos Tavares «la sfida è competere» e trarre vantaggio. Per questo Leapmotor ha già avviato la produzione di una piccola elettrica nello stabilimento polacco di Tychy, ex Fiat 500, e Chery per esempio ha già scelto Milano per una sede operativa finanziaria, in attesa di uno stabilimento produttivo.
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