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LA TESTIMONIANZA
23 Luglio 2024 - 09:50
Calogero, da un anno al Padiglione B
Capelli corti e occhi scuri, educato, cortese. Si chiama Calogero, ha 27 anni. E' nato ad Agrigento, in Sicilia. Da un anno circa è alle Vallette. Ha scelto di lavorare lì. E di viverci, considerato che gli alloggi dove ora risiede sono a pochi metri dal penitenziario. Parla con un tono di voce basso ma sicuro. In borghese, con la sua polo verde acqua, Calogero appare come tanti altri suoi coetanei, quelli che incontri passeggiando per il centro città e che le ragazze si girano a guardare per l'aspetto piacevole. Un centro città che l'agente non frequenta parecchio, non ne ha il tempo. Anche lui, come altri suoi colleghi, è arrivato al gazebo che l'Osapp ha piazzato davanti alle Ogr per il presidio indetto dal sindacato per chiedere, per l'ennesima volta, un aiuto concreto alla politica. Due parole poco prima di ascoltarlo, su Torino. "E' una città di cui mi sono innamorato, mi piacerebbe restarci per parecchio" racconta. Non è il primo siculo che s'infatua della città della Mole. Ma nel suo caso, per com'è la sua quotidianità, non era scontato...
"Ero al corrente della situazione attuale del penitenziario torinese, immaginavo non sarebbe stato semplice. Vivendolo posso dire che la situazione è veramente critica. Siamo costretti quotidianamente a fare turni estenuanti, spesso ci tratteniamo ben oltre il nostro orario di servizio. Ogni giorno ci troviamo davanti a detenuti di diverse nazionalità e non abbiamo su di loro nessun potere" racconta l'agente siciliano "è chiaro che ne rispettiamo i diritti, ma quasi sempre non c'è collaborazione tra gli agenti di polizia penitenziaria e i detenuti. Il rispetto è pari a zero".
Il suo tono di voce cambia. Si fa più lento, quasi riflessivo. "Lo stress psicofisico è elevato. Anche una volta terminato il turno, portiamo i problemi a casa. Una ruota continua, per le nostre divise non c'è rispetto, il sistema penitenziario è al collasso".
In Sicilia Calogero ha lasciato una famiglia che non era d'accordo con la scelta del giovane. Alcuni parenti lavoravano già nei penitenziari. Chi gliel'ha fatto fare? "La mia è una vocazione. I miei parenti? A tanti km di distanza leggono le notizie sulle cronache. I miei genitori sono preoccupati, costantemente agitati perchè non lavoro in un posto dove la mia incolumità è garantita. Quando entriamo alle Vallette sappiamo che entriamo con le nostre gambe e le nostre braccia e non sappiamo come ne usciamo fuori. Se ne usciamo".
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