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L'EVENTO

Torino ricorda i suoi defunti: tra fiori e lumini, l’arcivescovo Repole invita a riflettere sui valori dimenticati

“Chi vive per la carità, anche se fisicamente solo, è parte di un progetto più grande”

Torino ricorda i suoi defunti: tra fiori e lumini, l’arcivescovo Repole invita a riflettere sui valori dimenticati

Un silenzio assorto accoglie le oltre cinquecento persone riunite al Cimitero Parco di via Bertani per rendere omaggio ai propri cari scomparsi. In questo giorno speciale, dove il dolore si unisce alla gratitudine, molti torinesi si sono radunati davanti all’altare allestito per la messa celebrata da Monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, che ancora una volta ha presieduto la cerimonia in onore dei defunti. È una tradizione annuale, eppure ogni anno assume sfumature diverse, legate ai tempi e alle urgenze di chi resta.

All’ingresso del cimitero, le mani che si fanno il segno della croce e gli sguardi rivolti verso il basso raccontano un raccoglimento raro, quasi antico. Alcuni accendono lumini che si allineano ordinatamente lungo l’aiuola principale, una fila di piccole fiamme che trasforma l’ingresso in una scia di luce calda, mentre altri si inginocchiano brevemente in preghiera, tra i marmi e i fiori che riempiono la giornata di omaggio ai defunti. “Oggi è un giorno dai sentimenti contrastanti: la tristezza e la gratitudine”, esordisce l’arcivescovo, sottolineando le emozioni che avvolgono chi si trova lì, tra memoria e riflessione.

In prima fila, accanto alla folla di cittadini, si distingue la figura dell’assessore comunale con deleghe ai cimiteri, Chiara Foglietta, con la fascia tricolore, a rappresentare Torino in una giornata di raccoglimento collettivo. La funzione religiosa scorre, e man mano che la messa entra nel vivo, l’arcivescovo alza il tono della voce, quasi a voler incidere un messaggio che vada oltre le mura del cimitero. I santi sono stati espropriati di sé stessi, sono stati indifesi. Hanno rinunciato alla propria vita per dare spazio alla luce divina”, afferma Repole, facendo un chiaro paragone tra l’esempio luminoso dei santi e il buio delle vite guidate solo dall’apparenza e dall’egocentrismo. L’arcivescovo si riferisce con decisione a una società moderna che sembra aver perso di vista l’essenza dei valori, scegliendo invece di celebrare volti sempre in cerca di visibilità a qualsiasi costo. “Oggi ci vengono propinati personaggi di successo come gli influencer, spesso privi di trasparenza,” continua, affondando il messaggio nel cuore dei fedeli, “tendiamo a guardare a modelli come questi, ma spesso calpestano chiunque per emergere.”

Le parole di Repole risuonano con forza, e il sermone si trasforma in una riflessione a tutto campo sui valori a cui sembra aver rinunciato la società moderna. Dietro il palco, quasi nascosto tra i fedeli, un giovane dall’aria affranta ascolta attentamente ogni parola, stringendo tra le mani un piccolo mazzo di orchidee. Fiori semplici, eppure forti e preziosi come il ricordo che sembrano racchiudere, a giudicare dal modo in cui il ragazzo li abbraccia a sé, come fossero l’unico ponte tra lui e una persona cara. È un’immagine intensa, che racconta in silenzio la solitudine del lutto e della perdita, ma anche la sua grande dignità.

Repole non si limita però a parlare di santità; il suo messaggio va oltre, esplorando il tema della solitudine, un male che affligge le città moderne e aliena le persone, soprattutto in metropoli come Torino. La solitudine, infatti, sembra rimanere il filo conduttore della riflessione dell’arcivescovo: Chi vive per la carità, anche se fisicamente solo, è parte di un progetto più grande”, spiega, “Qualcosa che non possiamo ancora comprendere finché siamo nel mondo terreno, ma che quando saremo nell’alto dei cieli ci apparirà, d’un tratto, tutto chiaro”. La vita diventa, dunque, un percorso misterioso in cui non sempre riusciamo a scorgere il senso ultimo di quello che ci accade, ma che acquista un significato nella comunione con gli altri.

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