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"Copriti quei tatuaggi": quando il codice della pelle è un rischio per la sicurezza in carcere

Un detenuto sottoposto al regime speciale per reati di mafia ha portato la questione fino alla Cassazione

"Copriti quei tatuaggi": quando il codice della pelle è un rischio per la sicurezza in carcere

Carcere di Novara

Non è solo una questione di decoro o di apparenza: in Italia, per chi visita un detenuto sottoposto al regime del 41-bis, i tatuaggi sono vietati alla vista. Una direttiva dell’amministrazione penitenziaria impone ai familiari di coprire ogni traccia di inchiostro sulla pelle, perché persino un disegno o una frase possono diventare un messaggio in codice, un segnale pericoloso destinato a chi è dentro e fuori le mura di cinta.

È una misura dura, e qualcuno ci ha provato a metterla in discussione. Un detenuto sottoposto al regime speciale per reati di mafia ha portato la questione fino alla Cassazione, denunciando l’irragionevolezza della restrizione. Ma la Suprema Corte, con la sentenza 40592, è stata chiara: il carcere duro prevede misure eccezionali e il 41-bis ha una “ratio” precisa. Non è solo punizione, è protezione e prevenzione. Il suo scopo è azzerare ogni possibilità di comunicazione tra affiliati a organizzazioni criminali, dentro e fuori dalle celle.

Per chi si trova al 41-bis, i contatti con l'esterno sono ridotti al minimo. E se la libertà di comunicazione viene ridotta, per la Corte, è perché c'è un altro diritto, superiore e primario, che va garantito: quello alla sicurezza collettiva. I tatuaggi, per i giudici, possono costituire l’ennesima astuzia per oltrepassare le barriere di un regime speciale e veicolare direttive mafiose.

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