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LA NOTIZIA
05 Ottobre 2024 - 12:55
È passato un anno dall’approvazione del decreto Caivano e, se dovessimo fare un bilancio, potremmo fermarci a un solo dato: i ragazzi reclusi nei carceri minorili sono aumentati di quasi il 50%. Un numero che non lascia spazio a interpretazioni ottimistiche. Ce lo ricorda Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, con un comunicato che suona come un allarme. "Siamo di fronte a un sistema che si sta trasformando, e non in meglio", dice senza mezzi termini. Il modello di giustizia minorile italiano, che in passato aveva attirato l’attenzione dell’Europa per il suo approccio rieducativo, sembra ormai una fotografia sbiadita.
L'IPM DI CATANIA
La prima nota dolente riguarda i numeri: al 15 settembre 2024, 569 giovani erano detenuti negli Istituti Penali per Minorenni (IPM), il numero più alto mai registrato. I posti disponibili? Soltanto 516. Con un tasso di sovraffollamento che tocca il 110%, la gestione delle strutture si trasforma in una corsa a ostacoli. Si parla di brandine da campeggio e materassi sul pavimento, come se il problema fosse temporaneo. Ma la realtà è che siamo di fronte a un’emergenza sistemica, che si fa sentire anche nelle carceri per adulti, dove i "trasferimenti forzati" dei giovani che hanno raggiunto la maggiore età sono ormai all'ordine del giorno.
Questi dati non sono numeri astratti. Parliamo di ragazzi e ragazze, minorenni per il 61% del totale, che rischiano di essere incastrati in un percorso che non prevede più possibilità di riscatto. Una volta in carcere, il loro futuro sembra già scritto, e non si tratta certo di una pagina felice. Il Decreto Caivano, originariamente pensato per contrastare la criminalità giovanile, sta assumendo sempre più le sembianze di un provvedimento che chiude porte anziché aprirne. Anziché lavorare su percorsi di reintegrazione, si sposta il problema da una struttura all’altra, interrompendo processi educativi spesso già fragili.
"Il nostro sistema si sta spostando verso un modello criminalizzante, privo di prospettive". Non è una novità che il carcere per gli adulti in Italia sia già una sorta di limbo, dove si sconta la pena ma difficilmente si impara a cambiare strada. Ora, questo stesso destino sembra avvolgere anche i giovani, che invece avrebbero bisogno di ben altro.
Ivrea, violenza dietro le sbarre: mentre si inaugura la Pizzeria della Gentilezza, un’aggressione riaccende l’allarme sicurezza
Mentre a Ivrea si tagliava il nastro per inaugurare la Pizzeria della Gentilezza, uno sforzo simbolico per costruire dialogo e riabilitazione all’interno del carcere, dietro le sbarre si consumava un’altra storia, decisamente meno dolce. Il 4 ottobre, un agente di Polizia Penitenziaria è stato aggredito da un detenuto di origine marocchina, senza alcun motivo apparente, mentre era in servizio al terzo piano del carcere. La richiesta del detenuto era semplice: tabacco e una telefonata. Ma quando non ha ottenuto ciò che voleva, si è scagliato con violenza contro l'agente, colpendolo al volto con una serie di pugni.
La violenza nelle carceri italiane non è certo una novità, ma ciò che emerge dal carcere di Ivrea è una situazione di anarchia latente. A denunciare il grave episodio è stato Leo Beneduci, segretario generale dell’OSAPP (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), che parla di una condizione ormai fuori controllo. "Il personale è abbandonato a se stesso", tuona Beneduci.
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