l'editoriale
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Il commento
17 Novembre 2024 - 05:50
Torino, la città che fu la culla dell'industria italiana, è oggi una città dalle molte anime e contraddizioni. Da una parte, lo scintillio delle ATP Finals, il grande tennis che illumina il Pala Alpitour e fa gonfiare il petto agli amministratori locali, con l'acclamazione delle gesta di Jannik Sinner e l'entusiasmo contagioso che rimbalza tra i media nazionali e internazionali. Il più entusiasta è il sindaco che non vede o fa finta di non vedere i problemi che assillano quotidianamente i suoi concittadini. Dall'altra, il buio delle periferie, il gelo dei portici, i cartoni che diventano letti e i bisogni fisiologici che finiscono per strada, sotto gli occhi attoniti di bambini che vanno a scuola.
È un contrasto stridente, quasi surreale, quello che si respira in questi giorni a Torino. Il sindaco, in un tripudio di dichiarazioni autocelebrative, si pavoneggia davanti ai riflettori come il capitano di una nave di lusso. Ma basta allontanarsi di poche decine di metri dalle luci della ribalta per trovarsi di fronte a un panorama di disperazione che l’amministrazione preferisce ignorare o, peggio, nascondere. Le stesse istituzioni, che con encomiabile efficienza si saldano in un fronte unico per ottenere altri cinque anni di ATP Finals, restano silenziose e immobili di fronte alla realtà di migliaia di senzatetto che vivono sotto i portici o nelle vie della città. Certo c'è il cuore di tanti torinesi che batte ancora forte, la sera portano piatti caldi ai barboni, coperte e guanti ma a quelli che una volta erano chiamati gabinetti di decenza, noi li chiameremmo gabinetti di dignità, dovrebbe pensarci il signor sindaco e la sua giunta anche in questi giorni di ebbrezze orgasmatiche per il tennis. Il diavolo fa le pentole e dimentica i coperchi perché fa molto cristiano parlare di accoglienza per tutti e fa molto progressista dire che si sta sempre con i più deboli; con il retropensiero e l’auspicio, per i cervelloni della pluridecorata sinistra torinese, di sostituire il marxiano Esercito Industriale di Riserva con l'esercito di reietti che stazionano per le strade di Torino. La giunta comunale non si pone il problema, i suoi esponenti vivono in case calde magari con doppi o tripli servizi, e non capisce che l’esigenza del cesso per chi non lo ha riguarda tutta la città e in primis il primo cittadino. Si ripristinino i vespasiani, si riattivino i vecchi bagni pubblici chiusi da anni e se ne costruiscano di nuovi: è solo una modesta proposta per alleviare la difficoltà del vivere per strada.
Laddove il tennis è sinonimo di eleganza e ordine, i barboni – immigrati e italiani, giovani e anziani – sono sinonimo di disagio e abbandono. Questa umanità invisibile non scompare; al contrario, si fa sempre più visibile. La trovi sdraiata tra le vetrine scintillanti del centro, dove i turisti si fermano a scattare selfie prima di correre al match, oppure la vedi nelle periferie, nei luoghi dove nessun obiettivo mediatico si spinge. I clochard vivono in condizioni degradanti costretti a fare i propri bisogni dove capita, offrendo scene che offendono non solo la loro dignità, ma anche quella della città stessa. Torino non è solo indifferenza, la solidarietà è l’ultimo baluardo contro il cinismo. Ma le iniziative spontanee non possono sopperire a un vuoto istituzionale che grida vendetta. La città, che una volta si distingueva per il suo spirito solidale e la sua capacità di affrontare le difficoltà con grande efficienza, sembra ora incapace di guardarsi allo specchio. La risposta delle istituzioni a questa emergenza è completamente assente. E questo, va ribadito, è un problema che riguarda tutti: non solo i senzatetto, ma l'intera comunità torinese, inclusi quei cittadini che, ogni giorno, si trovano a convivere con questo degrado.
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