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INDIMENTICABILE JOE PETROSINO
20 Novembre 2024 - 07:45
JOE PETROSINO
Joe Petrosino è una figura mitica, un simbolo della lotta contro la criminalità organizzata che ha segnato la storia di New York e dell'Italia. Il suo nome è legato a film, fumetti, francobolli, ma soprattutto alla memoria di un uomo che ha sacrificato la vita per difendere la giustizia. La sua storia è ancora raccontata nelle scuole di New York, dove è l'unico italiano, insieme a Cristoforo Colombo, ad avere una giornata a lui dedicata. Monumenti, parchi e piazze portano il suo nome, e nonostante siano passati più di cento anni dalla sua morte, il suo ricordo è vivo come non mai.
Proprio ieri, durante un convegno a lui dedicato, il pronipote Nino Melito Petrosino ha raccontato la storia di Joe in un contesto elegante: l'aula d'onore della School of Management di via Ventimiglia, a Torino. Un evento che ha visto la partecipazione di illustri relatori, tra cui Luca Pantanella, segretario generale provinciale del sindacato di Polizia di Stato FSP, il vice questore di Torino Luigi Mitola, l'assessore regionale alla Sicurezza Enrico Bussalino, il vice presidente nazionale di FSP Franco Maccari e la dottoressa Marzia Giustolisi, dirigente della Squadra Mobile di Torino.
Il convegno ha offerto spunti di riflessione sull'evoluzione della mafia in Italia, e su come la criminalità oggi si stia evolvendo, modificando i volti e le dinamiche. In particolare, Luigi Mitola ha evidenziato come "il movimento migratorio porta risorse e manodopera ma anche una nuova criminalità", sottolineando che, un tempo, erano gli italiani ad esportare la mafia negli Stati Uniti, mentre oggi la situazione è cambiata, e la mafia si è adattata, infiltrandosi in ambienti e settori economici più insospettabili.
La dottoressa Giustolisi, con la sua lunga esperienza nell'Antimafia, ha offerto una testimonianza personale, raccontando le difficoltà e le sfide quotidiane che i poliziotti devono affrontare nella lotta alla criminalità organizzata.
NINO MELITO PETROSINO
L'intervento di Pantanella ha dato una lettura precisa della mafia, definita "un anti-stato che si sostituisce alle istituzioni", spiegando come oggi "la mafia viaggia con i colletti bianchi, non con la lupara" e come le organizzazioni criminali si inseriscano sempre più nell'economia legale, approfittando di situazioni favorevoli e operando spesso sotto la superficie, lontano dai riflettori.
Ma la parte centrale della giornata è stata la narrazione di Nino Melito Petrosino, che ha ripercorso la straordinaria vita del suo illustre antenato, il cui nome è indissolubilmente legato alla lotta contro la mafia e alla difesa della legge. Joe Petrosino, nato Giuseppe Petrosino il 30 agosto 1860 a Padula, in provincia di Salerno, emigrò con la sua famiglia negli Stati Uniti nel 1873. Cresciuto nel sobborgo di Little Italy a New York, Joe iniziò a lavorare giovanissimo come strillone e lustrascarpe. Nonostante le difficoltà economiche e sociali, la sua determinazione lo portò a entrare nella polizia di New York, dove si distinse subito per la sua intelligenza, il suo coraggio e la sua dedizione al lavoro.
Nel 1883, dopo aver lavorato come informatore, Joe Petrosino fu ammesso nella polizia. Era l'unico italiano in un corpo di polizia dominato da irlandesi ed ebrei, ma la sua conoscenza delle dinamiche criminali di Little Italy e la sua abilità nel comunicare con gli immigrati italiani lo resero un elemento prezioso. Petrosino divenne ben presto un simbolo della lotta alla criminalità, un uomo capace di entrare nei circuiti della mafia italoamericana e sconfiggerla dall'interno.
Nel 1895, grazie all'appoggio di Theodore Roosevelt, allora assessore alla polizia e futuro presidente degli Stati Uniti, Petrosino fu promosso sergente e assegnato alla lotta contro la "Mano Nera", una delle prime organizzazioni mafiose negli Stati Uniti. Petrosino, con la sua squadra, combatté strenuamente contro il racket e la corruzione, risolvendo casi di grande rilievo, tra cui il celebre "delitto del barile" del 1903. La sua lotta contro la mafia italoamericana divenne leggendaria, tanto che Joe Petrosino divenne un simbolo della giustizia, amato dalla comunità italiana e temuto dai criminali.
Pantanella, Giustolisi, Mitola, Bussolino e Davide Caregnato, direttore di Saa
Tuttavia, il destino di Petrosino si compì tragicamente in Italia. Nel 1909, mentre era in missione segreta in Sicilia per combattere la mafia, Petrosino fu assassinato a Palermo. Il 12 marzo, durante una passeggiata in piazza Marina, fu raggiunto da quattro colpi di pistola che lo uccisero sul colpo. La sua morte scosse profondamente l'America e l'Italia: il console degli Stati Uniti a Palermo scrisse al suo governo: «Petrosino ucciso a revolverate nel centro della città questa sera. Gli assassini sconosciuti. Muore un martire». La notizia della sua morte divenne subito un simbolo del sacrificio per la giustizia, e il suo funerale a New York fu un evento di proporzioni epiche, con oltre 250.000 persone che parteciparono al corteo.
JOE PETROSINO
Oggi, a distanza di oltre un secolo, la figura di Joe Petrosino continua a essere celebrata come un eroe della lotta contro la criminalità. La sua morte, così come la sua vita, è un monito per tutti coloro che credono che la giustizia debba prevalere. In un mondo in cui la mafia cambia volto, adattandosi ai tempi, la memoria di Petrosino è più viva che mai, un faro che continua a illuminare il cammino della legalità.
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