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Carceri piemontesi, a Ivrea la maglia nera per il sovraffollamento

A Torino il tasso di affollamento raggiunge il 132%, mentre nel penitenziario eporediese si arriva al 138%

Carceri piemontesi, a Ivrea la maglia nera per il sovraffollamento

foto di repertorio

Il 9 dicembre 2024, i dati ufficiali del Ministero della Giustizia riportano un numero allarmante di 62.283 persone detenute in Italia, a fronte di una capacità complessiva di 51.165 posti. Un affollamento che, seppur parzialmente migliorato rispetto ai picchi estivi, resta allarmante, con un tasso di sovraffollamento del 133,4%, in crescita rispetto al 130% di agosto. Le strutture carcerarie italiane si trovano quindi a dover gestire una situazione critica, aggravata dalla mancanza di posti: ben 4.478 risultano infatti inutilizzabili.

Un esempio emblematico di questa condizione si trova a Torino, dove il sovraffollamento raggiunge il 132%, con 1.439 detenuti a fronte di una disponibilità ufficiale di 1.117 posti Sebbene il numero ufficiale di celle esistenti possa sembrare sufficiente, va sottolineato che molte di queste risultano in realtà inagibili, rendendo problematico il conteggio esatto degli spazi effettivamente utilizzabili. Questa situazione complica ulteriormente la gestione quotidiana delle strutture e solleva questioni circa la necessità di interventi di ristrutturazione e modernizzazione per garantire condizioni di detenzione dignitose e conformi agli standard di legge. Ancora più grave la situazione a Ivrea, dove il tasso di affollamento arriva al 138%, con 260 detenuti contro i 195 posti disponibili.

In questo contesto, l'Associazione Luca Coscioni ha sollevato un altro importante tema: il diritto alla salute dei detenuti. Lo scorso agosto, infatti, l'associazione ha diffidato le 102 Asl competenti per la salute nelle 189 carceri italiane, chiedendo di adempiere al loro ruolo di fornitrici di servizi socio-sanitari e di monitoraggio delle condizioni igienico-sanitarie degli istituti penitenziari. Le diffide sottolineano che le carenze in materia di assistenza sanitaria penitenziaria sono una responsabilità diretta delle Asl, e hanno chiesto che vengano adottate misure concrete per affrontare la situazione.

Marco Perduca, coordinatore dell'iniziativa, ha dichiarato che meno della metà delle Aziende sanitarie ha risposto alle richieste, spingendo l'associazione a fare un passo ulteriore: “Abbiamo deciso di procedere con richieste di accesso agli atti per ottenere le relazioni delle visite in carcere” ha spiegato. Inoltre, è stato lanciato un invito pubblico per la condivisione anonima di segnalazioni tramite il sito FreedomLeaks.org, un canale sicuro dove chiunque, da familiari a operatori del settore, può denunciare le violazioni del diritto alla salute in carcere.

Le 102 richieste inviate alle Asl riguardano vari aspetti dell’assistenza sanitaria in carcere, tra cui:

  • Le relazioni delle visite sanitarie, con dettagli su quando sono state effettuate, cosa è stato visitato e cosa è stato rilevato.
  • Le modalità con cui queste visite sono state condotte, se effettuate a sorpresa, a campione o in tutte le aree e reparti.
  • Le istituzioni a cui sono stati inviati i resoconti, come il provveditorato alle carceri regionali, il Dipartimento per l’Amministrazione della Giustizia, il Ministero della Giustizia e il Ministero della Salute.
  • Eventuali risposte dalle autorità competenti riguardo alle misure adottate per migliorare la situazione sanitaria e penitenziaria.

Andrea Andreoli, anch'egli dell’Associazione Luca Coscioni, ha spiegato che la denuncia partecipativa anonima si rivolge a chiunque abbia accesso agli istituti penitenziari, da familiari e volontari a dipendenti delle Asl e dell’amministrazione penitenziaria, affinché possano segnalare eventuali abusi o carenze in materia di salute.

Il sovraffollamento carcerario non riguarda solo l'aspetto sanitario, ma solleva anche gravi preoccupazioni relative al rispetto dei diritti umani. Marco Perduca ha ricordato come nel 2013 la Corte europea dei diritti umani, con la sentenza Torreggiani, abbia ribadito che uno spazio inferiore ai tre metri quadrati per detenuto è sufficiente a configurare un trattamento inumano e degradante, che può essere qualificato come tortura. Una condizione che rischia di essere realtà per migliaia di detenuti italiani, costretti a vivere in spazi angusti e in condizioni di grave disagio fisico e psicologico.

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