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Fotografia
01 Maggio 2025 - 11:50
Dal 7 maggio al 21 luglio, lo Studio Legale Gebbia Bortolotto Penalisti Associati ospita la mostra Songs of the Walés del fotografo francese Patrick Willocq, un progetto espositivo realizzato da Crag Gallery in collaborazione con la galleria VisionQuest4Rosso di Genova, in occasione del mese della fotografia torinese.
L’esposizione presenta una selezione di scatti che raccontano un’Africa poco nota, poetica e potente, attraverso uno sguardo rispettoso e coinvolto. Le immagini esposte non sono semplici documentazioni: sono opere costruite in simbiosi con le protagoniste, le donne Ekonda della Repubblica Democratica del Congo, che condividono con Willocq un rito antico e affascinante.
Nato a Strasburgo, ma legato visceralmente all’Africa, Patrick Willocq ha trascorso parte della sua infanzia nella Repubblica Democratica del Congo. Dal 2009 ha iniziato una serie di viaggi nel cuore della foresta equatoriale, spinto dal desiderio di comprendere la spiritualità e le tradizioni del popolo pigmeo Ekonda. Le sue fotografie nascono dall’immersione totale in un mondo dove ogni gesto, canto e ornamento ha un significato preciso. È qui che ha stretto relazioni durature, guadagnandosi la fiducia di una comunità che non si lascia facilmente avvicinare.
In particolare, il fotografo ha concentrato il suo sguardo sul rituale Walé, un percorso d’iniziazione che accompagna le madri primipare in un periodo di isolamento rituale dopo la nascita del primo figlio. Durante questo lungo tempo — che può durare dai due ai cinque anni — la donna ritorna nella casa dei propri genitori e si sottopone a una rigida disciplina fatta di tabù, canti, danze e codici sociali.
Il progetto Songs of the Walés (2013-2016) si struttura come una serie di tableaux vivants, vere e proprie messe in scena co-create con le protagoniste, pensate per restituire visivamente le canzoni composte dalle donne Walé per il giorno del loro ritorno al villaggio. Willocq ha spiegato di essere rimasto colpito dalla forza simbolica di questi rituali, considerandoli una forma di ricchezza culturale oggi sempre più rara. Ha proposto dunque alle donne con cui aveva stretto un legame duraturo di raccontare la propria storia attraverso immagini che si fanno epica contemporanea.
I soggetti non sono semplici modelli, ma partecipanti attivi del processo creativo. Ogni fotografia è il frutto di mesi di preparazione e allestimento: scenografie spettacolari costruite con materiali locali — legno, tessuti, foglie, pigmenti naturali — e rese vive dalla presenza delle protagoniste, orgogliose del proprio ruolo. Le immagini uniscono delicatezza e ironia, e celebrano una femminilità fiera, consapevole e autonoma.
Al centro del rito Walé vi è un gioco di ruoli e competizione simbolica: le giovani madri conquistano prestigio rispettando regole severe, assumono soprannomi unici e curano minuziosamente il proprio aspetto per manifestare la propria singolarità. La polvere rossa del legno ngola, mescolata con olio di palma, viene stesa sul corpo come una seconda pelle. Le acconciature elaborate sono vere architetture fatte di fango, foglie e cenere, simboli visivi di una personalità in crescita. Ogni dettaglio parla di forza, determinazione, orgoglio.
Le fotografie di Willocq raccontano anche la tensione tra il desiderio di evolvere e la volontà di conservare. I suoi scatti danno voce a una riflessione più ampia sulla modernità che avanza e su un patrimonio culturale che rischia l’estinzione. Ma lo fanno senza retorica, restituendo una narrazione visiva dignitosa e carica di significati, che lascia spazio al dialogo tra passato e presente.
Accanto alla serie principale, la mostra presenta anche SuperWalés, una serie più recente che trasporta le protagoniste in un ipotetico futuro. In questi scatti, Willocq immagina una Repubblica Democratica del Congo pacificata, prospera e stabile. Le donne Walé appaiono come figure eroiche, madri potenti, supereroine africane immerse in paesaggi visionari. Una proiezione ottimista, quasi fantascientifica, che sovverte gli stereotipi e afferma un’idea di emancipazione in chiave locale e globale.
La mostra Songs of the Walés non è solo un’occasione per conoscere il lavoro di un grande fotografo contemporaneo, ma soprattutto un viaggio visivo in un universo culturale profondo e vibrante, dove la maternità diventa arte, e l’identità si racconta con orgoglio. Un invito a lasciarsi coinvolgere, ascoltare, guardare — e non dimenticare.
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