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IL FATTO
06 Maggio 2025 - 12:09
Non si arrende il compagno di Susan John, la donna morta l’11 agosto 2023 nel carcere torinese Lorusso e Cutugno dopo diciotto giorni di digiuno. Assistito dall’avvocato Manuel Perga, contesta la richiesta di archiviazione dell’inchiesta che vede coinvolti quattro medici penitenziari, inizialmente accusati di omicidio colposo per non aver fatto abbastanza per salvare la detenuta. Secondo la procura, però, i sanitari hanno agito correttamente. A chiedere l’archiviazione è stato il pubblico ministero Mario Bendoni, sulla base di due consulenze tecniche che avrebbero confermato la regolarità delle procedure seguite dai medici. Difesi dagli avvocati Francesco Bosco e Gian Maria Nicastro, i quattro sanitari sono stati accusati di non aver disposto per tempo il ricovero d’urgenza e di aver ritardato, “senza giustificato motivo”, il trasferimento già programmato.
Susan John, 93 chili al momento dell’ingresso in carcere il 22 luglio 2023, stava scontando una condanna definitiva a dieci anni e quattro mesi per sfruttamento e tratta di esseri umani. Alcune sue connazionali l’avevano indicata come una “maman”, ovvero colei che recluta giovani donne nei Paesi d’origine per destinarle alla prostituzione. Dietro le sbarre, lontana dal marito e dai due figli piccoli – uno dei quali autistico – Susan aveva iniziato un lungo sciopero della fame e della sete. La polizia penitenziaria aveva lanciato il primo allarme: la donna rifiutava cibo, acqua e cure mediche.
Il 1° agosto un provvedimento di "monitoraggio": la donna continuava a rifiutare vitto e terapie. E così continua per i giorni seguenti. In una cella, da sola, con una telecamera che potesse monitorarla. Il 4 agosto, in serata, era stata trovata priva di sensi dopo una caduta ed era stata portata in ospedale, dove però era stata dimessa poche ore dopo, anche perché aveva rifiutato esami e terapie: doveva essere videosorvegliata ancora.
Il suo stato di salute continuava a peggiorare. Il 9 agosto il Tribunale di Sorveglianza aveva autorizzato il ricovero presso il repartino detentivo dell’ospedale Molinette. Ma quel ricovero non avvenne mai. Due giorni dopo, Susan fu trovata morta in cella. Pesava 80 chili. Secondo l’autopsia, a causare il decesso fu un’insufficienza cardiaca acuta, verosimilmente dovuta a un’aritmia maligna. Gli accertamenti ipotizzano anche uno scompenso elettrolitico, causato dalla prolungata assenza di idratazione, che avrebbe compromesso l’attività cardiaca. Sebbene il referto parlasse di condizioni generali senza segni evidenti di disidratazione – niente labbra secche o pelle disidratata – la carenza di liquidi avrebbe comunque inciso in modo critico. Susan nel periodo di detenzione non è mai stata visitata da un parente. Quella di Susan fu la 42esima morte per suicidio in carcere nel 2023. Appena poche ore dopo, anche Azzurra Campari, 28 anni, si tolse la vita nella sezione psichiatrica dello stesso istituto. Una doppia tragedia che spinse il ministro della Giustizia Carlo Nordio a visitare la struttura torinese e a promettere l’uso di caserme dismesse per alleggerire il sistema penitenziario. Una promessa, tuttavia, rimasta finora senza seguito.
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