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CAOS IN CARCERE

Storia di Azzurra, suicida in cella appena trasferita a Torino. La mamma: «Impossibile parlare con il carcere»

Dopo il trasferimento, la mamma avrebbe voluto incontrare la figlia ma non è stato possibile: «Dal carcere non rispondeva nessuno»

Azzurra Campari

Azzurra aveva 28 anni e aveva da poco cambiato cognome: Campari è quello della mamma

Cosa sia scattato nella mente di Susan John e di Azzurra Campari molto difficilmente lo si potrà capire. C’è però un particolare, inquietante, che le accomuna: entrambe erano state trasferite nel carcere di Torino da pochi giorni. Susan, 48 anni, era arrivata da Catania da 20 giorni, la 28enne Azzurra da Genova da 15 giorni. In pratica, entrambe hanno deciso di farla finita - anche se in due modi molto differenti - non appena messo piede al Lorusso e Cutugno.

Se per Susan l’allarme era comunque scattato, anche se forse non con la forza necessaria, quando aveva smesso di alimentarsi, il dubbio di una sottovalutazione è ancora più forte nel caso di Azzurra, arrivata a Torino già con una storia complicata alle spalle. «Era una ragazza che ha avuto una vita difficile - spiega la sua legale, l’avvocato Marzia Ballestra - eppure 15 giorni fa è stata trasferita dal carcere Genova senza che nessuno ci abbia spiegato il motivo e temo che la lontananza dalla mamma, che vive in Liguria, possa aver influito». E proprio la mamma ha subito avuto un problema con il Lorusso e Cutugno: «Voleva andare a trovare Azzurra il 16 agosto ma non c’è stato modo di fissare un appuntamento per il colloquio - ricorda l’avvocato Ballestra - la mamma non riusciva a parlare con nessuno a Torino, telefonava ma nessuno le rispondeva. Una cosa simile non mi era mai capitata con nessun carcere». Azzurra comunque non era sola, in questi 15 giorni la mamma era riuscita a vederla una volta e si sentivano spesso al telefono. L’ultima volta le aveva detto «Non ce la faccio più» e qualcosa in lei l’altro giorno si è spezzato. Eppure la sua situazione era a rischio e lo si sapeva: una vita complicata alle spalle, tanto da arrivare a cambiare cognome (Campari è quello della mamma), la scuola abbandonata, fughe, tentativi autolesionistici e piccoli reati, anche se una volta era finita sulle pagine dei giornali liguri per aver tirato una sorta di molotov contro la cabina di un bagno. Era in carcere da maggio per un cumulo di pene e sarebbe dovuta uscire il prossimo anno. «Non ha mai fatto del male a nessuno - spiega l’avvocato - era una ragazza sofferente da tanto tempo e la sua situazione difficile era nota. Ci doveva essere attenzione. Quello che ci chiediamo è perché era da sola, perché nessuno l’ha sorvegliata, come è stato possibile che abbia avuto non solo i materiali ma anche il tempo di prepararsi un cappio».

Quelli di Susan e di Azzurra non sono, purtroppo, i primi gesti disperati compiuti da delle detenute a Torino. L’ultimo, in ordine di tempo, risaliva solo a poco più di un mese fa. «Bisogna evitare il rischio emulazione che in carcere è altissimo» sottolineano i garanti dei detenuti, Monica Cristina Gallo e Bruno Mellano. E per farlo occorre «garantire un presidio sanitario 24 ore su 24 nella sezione femminile del carcere, attivare punti di ascolto per i detenuti vulnerabili con psicologi dedicati, incrementare il personale all’interno delle sezioni e attuare tutte le linee guida per la prevenzione dei suicidi, che prevedono anche il coinvolgimento dei garanti dei detenuti».

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