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Il politicamente corretto
10 Giugno 2025 - 15:00
Luca Ricolfi
Luca Ricolfi, sociologo e presidente della Fondazione David Hume, è noto per posizioni indipendenti e spesso controcorrente, che emergono chiaramente nell’intervista rilasciata ieri al quotidiano la Verità. Il suo bersaglio è la cultura del politicamente corretto, da lui definito "follemente corretto" (come il titolo del suo ultimo libro), e il crescente carattere oligarchico delle istituzioni europee. Lo studioso osserva che in Europa il woke continua a prevalere nonostante il ritorno di Trump negli Stati Uniti, un paradosso che il sociologo spiega con la capacità del leader americano di rafforzare, indirettamente, l'adesione europea al politicamente corretto. Trump infatti è così "sgradevole e sopra le righe" da spingere molti europei, anche di destra, a una maggior tolleranza verso la deriva woke piuttosto che accettare le sue politiche e il suo stile.
Tuttavia, il sociologo non si ferma al semplice giudizio politico. Ricolfi da tempo sostiene che il woke sia un fenomeno che distorce non solo la politica ma anche la ricerca scientifica e la formazione culturale. In passato ha infatti criticato duramente il sistema scolastico e universitario italiano per l’eccesso di ideologia, denunciando la perdita di qualità dell’istruzione e il conformismo intellettuale che frena lo sviluppo critico e creativo delle nuove generazioni. Sulla questione della democrazia, Ricolfi sottolinea che l'Italia è un prototipo di "democrazia limitata", dove la sovranità popolare è compromessa dal protagonismo della magistratura e da istituzioni sovranazionali non direttamente responsabili verso l’elettorato. Queste sue idee, già espresse in varie pubblicazioni, evidenziano un sistema politico europeo in crisi, governato da élite tecnocratiche sempre più distanti dai cittadini.
Quanto alla sinistra, Ricolfi interpreta il suo abbraccio della cultura woke come una strategia per mascherare l’incapacità di risolvere problemi economici e sociali reali. La sinistra, secondo lui, preferisce battaglie culturali, simboliche e identitarie perché hanno costi molto inferiori rispetto a riforme strutturali sui temi del lavoro, della salute e del welfare. La posizione di Ricolfi si estende alla critica del ruolo del sindacato, in particolare della CGIL, accusato di alimentare allarmi infondati, come quello sulla precarietà del lavoro, che servirebbero più a legittimare la propria sopravvivenza che a risolvere le problematiche reali dei lavoratori.
Interessante è la sua critica al linguaggio usato dalla politica e dai media per definire le nuove destre europee. Ricolfi, in maniera originale, propone il termine "indietristi", riferendosi a intellettuali come Pier Paolo Pasolini e Jean-Claude Michéa, sostenitori di una visione critica del progresso tecnologico ed economico. Il sociologo sottolinea così una contraddizione: l'indietrismo è nato a sinistra come critica al consumismo e al capitalismo, ma oggi si manifesta politicamente soprattutto a destra. Ricolfi conclude ricordando che gli unici veri antidoti al "follemente corretto" rimangono il senso comune e l’umorismo, entrambi però, purtroppo, sempre più rari nel panorama politico e culturale contemporaneo. Con la sua analisi pungente e ricca di sfumature, Ricolfi continua a distinguersi come una voce fuori dal coro, capace di stimolare riflessioni profonde sulle contraddizioni della nostra società.
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