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L'incontro pubblico
28 Giugno 2025 - 18:47
Non sono le banche, e neanche gli imprenditori, ma «i capitalisti» e la politica, i destinatari dell’omelia del cardinale Roberto Repole. E’ questo il pensiero di Mino Giachino, già sottosegretario ai Trasporti, oggi a capo della Saimare, azienda leader nei trasporti marittimi e da sempre un convinto “sì Tav”.
Le parole della decisa omelia del cardinale Roberto Repole, alla cerimonia di distribuzione dei pani della Carità nel Duomo di Torino a San Giovanni, hanno scosso Torino. Smuovendo in modo significativo l’opinione pubblica e scomodando alcuni tra i volti più influenti del panorama economico: da Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa San Paolo a Marco Gilli, della Fondazione Compagnia San Paolo, ma anche l’ad di Banca del Piemonte Camillo Venesio, e il sociologo urbano Luca Davico.
Il concetto alla base del pensiero espresso da Repole è che la ricchezza resti nelle mani dei pochi, favorendo le diseguaglianze.
L’omelia di Repole
«Torino - aveva ricordato - ha immense sacche di povertà, ma paradossalmente è anche la terza città d'Italia per numero di famiglie benestanti, con 76 miliardi di euro chiusi nelle banche». Come mai? «Non si può certo pretendere, perché non si è ingenui, che investano (i detentori dei patrimoni, ndr) senza prospettive di reddito adeguato», aveva proseguito pragmatico. A tratti era sembrata una vera e propria invettiva, quella del cardinale. Ma rivolta a chi? I vertici di San Paolo, negli ultimi giorni, quasi a “discolparsi”, avevano replicato: «I fondi non sono immobili, anche se è vero che non corrono più come un tempo». Ma Giachino non ci sta a questo travisamento.
La replica
«Qui Gros-Pietro non ha capito. Repole - dice Giachino - non critica le banche che svolgono il loro lavoro, ma se la prende con chi non ha investito e non investe a Torino e con la scarsa attenzione alle infrastrutture. Il suo intervento vuole difendere gli interessi dei torinesi». L’occasione è l’incontro organizzato ieri mattina in piazza Savoia moderato dal vicedirettore di Torino Cronaca Marco Bardesono in cui sono intervenuti anche Giorgio Merlo, ex deputato ed esponente storico del cattolicesimo democratico e Mauro Carmagnola, figura di riferimento della rinata DC piemontese. Lo scopo era proprio spiegare perché il cardinale avesse ragione.
«Repole si riferiva ai capitalisti che non hanno investito a Torino, come i proprietari della Fiat», attacca Giachino, ricordando come la Torino - Milano sia nata negli anni ‘30 grazie al senatore Giovanni Agnelli, nonno dell’”Avvocato” Gianni.
Il ruolo pubblico
Un chiaro esempio di come muovere i capitali possa essere vantaggioso sia per il pubblico che per il privato. «L’intervento di Repole - aggiunge Merlo - segna una continuità di pensiero e di azione dei grandi arcivescovi di Torino. Ricordiamo il magistero di Michele Pellegrino, perché ha saputo mantenere un forte radicamento tra messaggio religioso e realtà». Merlo poi continua: «L’interlocutore di Repole non è chi deposita i soldi, ma i vertici politici ed istituzionali. Il reinvestimento c’è nel momento in cui il ceto dirigente elabora un progetto in grado attrarre quegli investimenti». Ma il ceto dirigente sembra lontano dalla realtà torinese: «Le fondazioni oggi sono ridotte a bancomat di enti locali in cui ci si spartisce il potere. Hanno mancato il loro obiettivo», dice Carmagnola. Neanche quest’ultimo molto gentile con Intesa San Paolo. «Ora siamo nelle mani di chi non ha una visione. Da una parte, è vero, gli investimenti devono essere remunerativi, ma dall’altra gli investitori devono giocare la loro parte», conclude Carmagnola.
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