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Lavoro & Dazi

Piemonte (quasi) in crescita: occupazione in aumento, ma i dazi minacciano 15mila posti di lavoro

Di fronte ai dati diffusi dalla vicepresidente Chiorino sull’occupazione in Piemonte, arriva una tempesta: quella dei dazi americani

Piemonte (quasi) in crescita: occupazione in aumento, ma i dazi minacciano 15mila posti di lavoro

La vicepresidente della Regione Piemonte Elena Chiorino

Oggi, nel bilancio di un anno di governo regionale, la vicepresidente della Regione Piemonte, Elena Chiorino, ha tracciato un quadro positivo: tasso di occupazione al 69% – sopra la media nazionale – disoccupazione al 6,4% e inattività al 26,2%. Dati che, in un Paese spesso attraversato da narrazioni di declino, suonano come un segnale di controtendenza. Il Piemonte si presenta come terra di apprendistato e di inserimento lavorativo giovanile, con l’87% dei diplomati ITS occupati entro un anno e un’alta incidenza di apprendistato di qualità. Ma mentre i numeri celebrano un presente in ripresa, le prospettive a breve termine mandano un segnale d'urgenza. Secondo un’analisi di ReportAziende.it, basata su dati Istat ed Eurostat aggiornati al 2024, le nuove tariffe doganali statunitensi – che potrebbero arrivare fino al 30% – mettono in pericolo oltre 2,8 miliardi di euro di export piemontese. Un danno economico che si traduce direttamente sul fronte occupazionale: 15.000 posti di lavoro in Piemonte potrebbero andare perduti nel solo biennio 2025–2026, con impatti forti già dal quarto trimestre di quest’anno.

Le province più esposte sono Torino e Cuneo. Nel capoluogo piemontese, l’automotive e la componentistica – già fragili per la transizione industriale – rischiano una doppia penalizzazione: dalla crisi strutturale interna e dal calo della domanda estera. A Cuneo, invece, il comparto agroalimentare Dop – tra cui formaggi, salumi e vini Docg – è sotto pressione, con dazi stimati fino al 45% sui prodotti simbolo del Made in Italy.

Una misura, quella dei dazi doganali annunciati dagli Stati Uniti, che rischia di rappresentare un colpo durissimo per l’economia italiana e piemontese. Secondo le stime dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre, un incremento delle tariffe fino al 30% potrebbe tradursi in un impatto economico complessivo di circa 35 miliardi di euro l’anno per l’Italia. Già dazi del 10% sono costati al nostro Paese 3,5 miliardi, mentre un’aliquota al 20% potrebbe generare perdite fino a 12 miliardi. Il passaggio al 30%, scenario attualmente sul tavolo, produrrebbe un effetto esponenziale e sistemico sulle filiere export-oriented, molte delle quali radicate proprio in Piemonte.

La regione, infatti, è tra le più esposte a livello nazionale: i tre principali prodotti esportati dal Piemonte verso gli Stati Uniti sono le macchine di impiego generale, gli autoveicoli e le bevande – settori centrali non solo per il Pil regionale, ma anche per la tenuta occupazionale del territorio. A livello provinciale, Torino da sola rappresenta un flusso di esportazioni verso gli USA pari a 2,5 miliardi di euro, collocandosi tra le prime cinque province italiane assieme a Milano, Firenze, Modena e Bologna, che da sole generano quasi un terzo dell’export complessivo verso il mercato statunitense.

C'è quindi un’apparente ambivalenza nel quadro piemontese: da un lato, l’occupazione cresce, grazie a politiche attive sul lavoro, formazione e inclusione; dall’altro, le dinamiche globali rischiano di minare queste conquiste. I 1.215 giovani assunti in apprendistato e le oltre 2mila persone con disabilità reinserite nel mondo del lavoro potrebbero trovarsi, tra pochi mesi, di fronte a un mercato in forte contrazione, specie nei settori manifatturieri e agroindustriali. Il paradosso è che proprio le filiere che hanno trainato la ripresa occupazionale in Piemonte – automotive, meccanica di precisione, agroalimentare – sono quelle più vulnerabili alla nuova politica commerciale statunitense. Una fragilità amplificata dalla svalutazione del dollaro (-11,2% nel primo semestre 2025), che rende le esportazioni italiane ancora meno competitive.

Il pericolo non è solo per chi lavora nelle aziende esportatrici. Le ricadute potrebbero toccare tutta l’economia regionale: aumento dei prezzi al consumo (fino al +10% su beni ad alta specializzazione), minore liquidità nelle imprese, riduzione degli investimenti e della marginalità. Le piccole e microimprese – che costituiscono la struttura portante del tessuto produttivo piemontese – sono le più esposte a questa tempesta.

Il monito arriva anche dal mondo imprenditoriale. Dino De Santis, presidente di Confartigianato Torino, ha chiesto un piano straordinario europeo per difendere la manifattura e l’artigianato evoluto: “Servono strumenti per la diversificazione dei mercati, incentivi all’innovazione, investimenti infrastrutturali ed energetici. Nessuna politica protezionista americana potrà replicare il nostro capitale umano, ma va protetto e valorizzato”. La Regione Piemonte ha messo in campo nuove misure – come l’integrazione salariale del programma GOL o gli incentivi per il welfare aziendale – ma l’impatto dei dazi potrebbe essere strutturale e andare oltre gli strumenti già attivati.

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