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IL COMMENTO
02 Agosto 2025 - 11:22
Ancora una volta, la cavalleria mediatica schierata da John Elkann suona la carica, con la solita sapienza comunicativa radicata nell'antica tradizione sabauda del "dire e non dire", mostrando un'apparenza brillante che nasconde una sostanza opaca. La recente cessione di Iveco al colosso indiano Tata è stata salutata con fuochi d'artificio e squilli di tromba, orchestrati dal quotidiano torinese, fedele interprete del verbo degli eredi di casa Agnelli. Una celebrazione che insiste sulle garanzie per siti produttivi e occupazione, ignorando con cura i precedenti disastrosi che, da Mirafiori alla Maserati, hanno disseminato Torino e l'intera penisola di rovine industriali.
Le fanfare del giornale torinese non sono nuove, né lo sono le rassicurazioni sul mantenimento dell'occupazione e della produzione. Sono promesse che risuonano vuote, formule di rito smentite puntualmente dalla storia recente. Gli stabilimenti Fiat di Mirafiori, un tempo cuore pulsante dell'industria italiana, sono oggi simbolo della progressiva desertificazione industriale che nessuna tromba mediatica può nascondere. Maserati, marchio destinato a rilanciare l'immagine internazionale del gruppo, fatica a mantenere le promesse, mentre i fornitori locali pagano il prezzo più alto di questa politica di tagli e delocalizzazioni.
Con la vendita di Iveco, Elkann mette in scena la solita commedia della "cessione strategica", che favorisce soprattutto i conti degli azionisti, piuttosto che lavoratori e tessuto industriale italiano. Il reparto Defence di Iveco passa sotto il controllo di Leonardo, azienda statale, con un prezzo pagato dallo Stato italiano che lascia aperti dubbi significativi. Un ex dirigente di alto profilo ha definito Iveco Defence il gioiello del gruppo, grazie a ingegneri brillanti e progetti d'eccellenza come il blindato "Lince", solo per fare un esempio, nettamente superiore al celebre Hammer-Humvee americano negli impatti con le mine e non solo. Tuttavia, nonostante Iveco Defence rappresenti solo il 5,7% del fatturato complessivo di Iveco, lo Stato italiano pagherà ben 1,7 miliardi di euro, quasi metà del prezzo complessivo della restante parte ceduta a Tata. È un costo giustificabile in termini economici o una concessione all'interesse geopolitico e nazionale? Difficile dirlo con certezza, ma è chiaro che la generosità statale va ancora una volta a beneficio diretto degli eredi Agnelli.
La vicenda si inserisce in un copione ormai ben rodato: gli Agnelli liquidano e incassano, lo Stato paga, Torino osserva impotente la propria marginalizzazione industriale. Così, mentre Elkann liquida asset in Italia, raccogliendo liquidazioni milionarie, i suoi media costruiscono narrative rassicuranti, dipingendo ogni operazione come un successo di lungimiranza imprenditoriale.
Il contrasto emerge ancora più netto se si guarda al trattamento riservato alle aziende italiane che provano a investire oltreconfine. Negli stessi giorni in cui la vendita di Iveco veniva glorificata, il quotidiano di Torino intervistava il ministro tedesco Wolfram Weimar, sull'offerta pubblica di Mediaset per acquisire il gigante mediatico ProSiebenSat.1. Intervista rigorosamente su misura per sollevare dubbi sulla presunta ragionevolezza della diffidenza tedesca verso un'azienda italiana, evocando persino improbabili minacce russe e rischi per la stabilità democratica della Germania. Un trattamento simile era stato riservato al tentativo di acquisizione della Commerzbank da parte di Unicredit, dipinto dal quotidiano sabaudo come minaccia agli equilibri finanziari tedeschi. Così, mentre in Italia Elkann liquida e dismette asset industriali senza vere contestazioni mediatiche sindacali e politiche, gli italiani che cercano espansione internazionale vengono dipinti come pericolosi predatori incapaci di gestire realtà straniere.
Questa linea editoriale militante, e di opposizione al governo, oggi saldamente nelle mani degli eredi di Agnelli, non è nuova: segue fedelmente il modello del "grande vecchio" Giovanni Agnelli, sempre rivolto agli interessi oltre le Alpi piuttosto che al destino nazionale. Così, mentre i media di Elkann continuano a dispensare rassicurazioni e false certezze, Torino e l'Italia restano intrappolate in un progressivo declino industriale, mascherato solo da squilli di tromba sempre più flebili e lontani dalla realtà.
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