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06 Agosto 2025 - 17:15
Un batterio probiotico in grado di influenzare direttamente l’attività dei neuroni: è questa la scoperta rivoluzionaria di un team congiunto dell’Università di Torino e dell’Università Complutense di Madrid, pubblicata sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature. Il risultato apre una nuova frontiera nella ricerca biologica, superando l’idea che i batteri intestinali comunichino con il cervello solo attraverso vie indirette, come ormoni o risposte immunitarie.
Per la prima volta, è stata dimostrata un’interazione diretta tra un batterio probiotico di origine alimentare — Lactiplantibacillus plantarum — e i neuroni corticali, con effetti misurabili sull’attività neuronale. Il risultato è stato ottenuto attraverso test in vitro che hanno mostrato un’inedita comunicazione bioelettrica tra microbi e sistema nervoso.
Il cuore dello studio è un modello in vitro in cui L. plantarum è stato messo a contatto diretto con neuroni di ratto. Come spiega la professoressa Celia Herrera Rincon, responsabile della ricerca, i batteri non penetrano nei neuroni, ma si legano alla superficie cellulare, alterandone l’attività elettrica.
La risposta dei neuroni è stata monitorata in tempo reale tramite imaging del calcio, una tecnica che consente di visualizzare i flussi intracellulari associati all’attività neuronale. I dati mostrano che l’effetto dei batteri è dose-dipendente e legato al loro metabolismo attivo.
Accanto alla risposta elettrica, l’équipe ha riscontrato modifiche nei livelli di proteine chiave per la neuroplasticità, come sinapsina I e pCREB. Questi risultati suggeriscono che l’interazione con i batteri non solo attiva i neuroni, ma potrebbe anche modificare la loro struttura e funzione nel tempo, influenzando quindi i meccanismi alla base di apprendimento, memoria e comportamento.
Le implicazioni cliniche sono significative. Secondo Stefano Geuna, neuropsichiatra ed ex rettore dell’Università di Torino: «Questi risultati aprono la strada a nuovi approcci terapeutici. Potremmo un giorno trattare disturbi come ansia e depressione intervenendo direttamente sul microbiota intestinale, ad esempio con strategie dietetiche mirate».
La prospettiva è quella di una neuropsichiatria “microbiota-centrica”, in cui il cibo, i probiotici o altri interventi sul microbioma possano diventare strumenti terapeutici complementari o alternativi ai farmaci. Lo studio si inserisce nel crescente interesse per l’asse intestino-cervello, ma rappresenta un cambio di paradigma: se finora l’attenzione si era concentrata su vie indirette ora emerge la possibilità che batteri e neuroni comunichino direttamente, senza intermediari.
Una scoperta che non solo amplia la comprensione delle relazioni tra microbiota e sistema nervoso, ma che potrebbe avere ricadute importanti anche in ambito tecnologico e farmacologico, suggerendo nuovi modelli di interfaccia bioelettrica tra cellule biologiche e microrganismi. Con questa ricerca, Torino si conferma centro di eccellenza nelle neuroscienze e nella biologia cellulare, contribuendo a riscrivere i confini tra scienza del cervello e microbiologia. E aprendo scenari in cui la salute mentale potrebbe passare attraverso l’intestino.
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