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La lettera

Cacciata di Schael da Città della Salute: «Non lo avrei voluto così precipitoso»

Il saluto - e anche un po’ sfogo - di Thomas Schael nell’ultimo suo giorno da commissario

Caso Città della Salute: la difesa di Schael, ora parla il suo fido collaboratore

Thomas Schael

Nel suo ultimo venerdì da commissario di Città della Salute e della Scienza, Thomas Schael sceglie di accomiatarsi dal suo ruolo con una lettera. Scritta “col cuore”, che è il posto in cui, dice, rimarrà sempre l’Azienda. Ma condita anche da un po’ di veleno, per quella che è stata praticamente una “cacciata”.

«Non avrei voluto»
Lo dice molto onestamente Thomas Schael, senza i giri di parole che invece l’ex “amico”, l’assessore alla Sanità Federico Riboldi avrebbe spesso utilizzato per motivare l’allontanamento. Ad esempio «l’assenza della serenità necessaria per portare all’interno di Città della Salute il cambiamento auspicato».
L’escalation che ha portato qualche giorno fa alla nomina di Livio Tranchida come direttore generale, sarebbe stata così repentina, per Schael da lasciargli «un vuoto dentro», ma costituirebbe - e qui dopo il miele il veleno - anche un «inutile contraccolpo per la conduzione quotidiana», nonché «perdita di tempo».

«L’eccellenza oscurata»
Pur lodando i risultati dell’Azienda, merito dei dipendenti ospedalieri ma anche universitari. Che la rendono a tutti gli effetti un’eccellenza, sulla strada per diventare uno dei migliori ospedali d’Europa, con oltre 10mila trapianti, Città della Salute per Schale, in questo modo «rischia di essere oscurata dagli interessi di pochi». Quelli della Regione?

Troppo poco tempo
Gli a stento sei mesi del suo mandato sono stati «un tempo assolutamente insufficiente» per portare a termine i suoi “compiti”: il piano di razionalizzazione e il percorso che porterà al futuro Parco della Salute (ma manca di menzionarne molti altri, tra cui il famigerato bilancio). Inoltre per la manutenzione della centenaria struttura «servirebbero quasi 600 milioni», dice.

Le scelte «impopolari»
Rivendica le sue scelte, forse impopolari, ma portate avanti, senza alcun dubbio, «in buona fede, anche se molti non hanno condiviso», dice. A cominciare dalla circolare che impediva il fumo nei locali dell’Azienda, violato lo scorso 12 agosto. E poi quella che diceva “nein” ai camici al bar. «Vissuta come un divieto, ma difendeva i pazienti». «Trasparenza» e «legalità», i principi ispiratori, dice lui. Mentre i sindacati - e poi il Tar - bollavano come «antisindacale».
Poi chiude con la stessa citazione di Seneca del suo insediamento. E chi vuole capire capisca: «Il saggio non dice mai tutto quello che pensa, ma ciò che conviene dire».

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