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L'iniziativa
04 Settembre 2025 - 14:20
Manifesto “Mio marito”
La vicenda del gruppo Facebook “Mia moglie”, chiuso di recente dopo aver raccolto dal 2019 oltre 32 mila iscritti, ha riportato l’attenzione su un fenomeno crescente: la violenza digitale di genere. All’interno del gruppo, uomini pubblicavano foto intime delle proprie compagne senza consenso, accompagnandole spesso con commenti sessisti e denigratori. L’esposizione non autorizzata di immagini private – pratica nota anche come revenge porn – rappresenta una violazione della privacy e una forma di abuso che ha colpito migliaia di donne comuni, con conseguenze emotive e sociali rilevanti.
In risposta, l’artista torinese Andrea Villa ha realizzato l’intervento urbano “Mio marito”, una serie di manifesti affissi in punti centrali della città, come lungo Dora Siena 108 e corso Regina Margherita 50. L’iniziativa propone una ribaltata simbolica: i protagonisti diventano uomini, ritratti in costume da bagno o boxer, spesso a petto nudo e con il volto oscurato o tagliato. L’operazione, nelle intenzioni dell’autore, mette in discussione il concetto di possesso che emerge da pratiche come quelle del gruppo “Mia moglie”, evidenziando il doppio standard con cui la società tratta la sessualità maschile e femminile.
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Villa ha richiamato anche casi recenti che hanno alimentato il dibattito pubblico, come quello della maestra licenziata per aver aperto un profilo su OnlyFans. Episodi che, secondo l’artista, mostrano come le conseguenze sociali e lavorative ricadano quasi esclusivamente sulle donne, mentre gli uomini raramente subiscono ripercussioni simili per comportamenti comparabili.
L’azione, definita dall’autore come un “atto di resistenza”, non ha valore soltanto provocatorio ma si inserisce in un contesto di riflessione più ampio sul ruolo dei media digitali nella diffusione di pratiche violente e discriminatorie. In Italia, il cosiddetto revenge porn è stato introdotto nel Codice penale con la legge n. 69 del 2019 (nota come “Codice Rosso”), che prevede pene fino a sei anni di reclusione per chi diffonde immagini intime senza consenso. Nonostante l’esistenza di un quadro normativo, i casi registrati negli ultimi anni evidenziano la difficoltà di prevenire e arginare efficacemente il fenomeno.
L’operazione “Mio marito” si colloca dunque come gesto artistico ma anche come strumento di denuncia pubblica, volto a rendere visibile una dinamica che altrimenti rischierebbe di rimanere confinata nei circuiti online. La scelta di portare l’immaginario maschile sulla strada, in spazi fisici e quotidiani, mira a stimolare una riflessione collettiva su responsabilità, consenso e disparità di trattamento.
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