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L'allarme

«Inciampiamo e ci insultano pure» La città-trappola per i non vedenti

L’Unione ciechi e ipovedenti aveva chiesto a fine maggio aiuto nel corso di una commissione

monopattini

Michele Checa multa, simbolicamente, un monopattino

Cadere, inciampare, ed essere pure rimproverati. È la quotidianità, amara e pericolosa, che molte persone cieche o ipovedenti si trovano ad affrontare per le strade di Torino, dove i monopattini elettrici spesso vengono abbandonati alla rinfusa, fuori dagli stalli dedicati.

Nonostante questi, infatti, siano segnalati in modo evidente e distribuiti per tutta la città (ben 212 concentrati nelle aree a maggiore affluenza) proprio per depositare correttamente i velocipedi elettrici dopo il loro utilizzo, spesso si sceglie di lasciarli dove capita. Lo certificano le oltre 4mila sanzioni comminate dalla municipale dal 1° gennaio al 31 agosto di quest’anno. E così vi si può inciampare inconsapevolmente sopra. «La beffa? Che i passanti pensano che siamo degli incivili, invitandoci a raccoglierli». Scambiati per maleducati senz’appello.

A raccontarlo è Christian Bruno, consigliere alla Mobilità dell’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, che raccoglie oltre 800 consociati a Torino e provincia. «Il disagio è tanto. Il non vedente che si muove da solo affronta a volte un lungo percorso per avere fiducia in sé e andare in giro per la città senza un accompagnatore», spiega Bruno. Una fiducia che può essere intaccata con un colpo di spugna da episodi simili.

I casi possono essere tanti: il bastone che si incastra sotto il corpo del monopattino. L’urto con il mezzo, che finisce addosso al non vedente. Fino a «sinistri» veri e propri, con i veloci mezzi in movimento in giro per la città. «Almeno tre o quattro lamentele ogni settimana. Ci sono stati anche dei casi con traumi gravi e prognosi in pronto soccorso, ma tanti non dicono nulla per vergogna», racconta Vittorino Biglia, presidente dell’Unione. Che, oggi, per far fronte al problema indica addirittura ai suoi soci degli studi legali, che ormai conoscono questa realtà.

Ma il problema resta. Nonostante l’audizione in commissione consiliare lo scorso 29 maggio, in cui si chiedeva al Comune di fare un passo indietro sulla mobilità dolce (sull’esempio di Bologna che aveva decretato che i mezzi «non fossero adatti alla città») e le convocazioni in Comitato per la Sicurezza Pubblica, presso la prefettura di Torino.

«La situazione per noi è innegabilmente questa – spiega Bruno –. Noi non siamo contrari a questa forma di mobilità, ma all’uso scorretto e disordinato dei mezzi».

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