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Il lutto
16 Settembre 2025 - 15:25
Il fascino di Robert Reford
Robert Redford aveva appena compiuto 89 anni (18 agosto), ma il suo fascino non accennava a diminuire. In fondo accade così quando si è stati un sex symbol, uno dei volti più amati di quella Hollywood (della quale, però, non si sentiva una pedina) e si è entrati nell'immaginario collettivo come una sorta di mito la cui bellezza, nulla, neppure il tempo segnato sulla pelle, riesce a scalfire. Se n’è andato così Robert Redford, la star americana di tanti cult, nella sua casa di Provo (Utah). La morte è stata confermata questa mattina al New York Times da Cindi Berger, la CEO dello studio di pubblicità Rogers & Cowan PMK. Redford è morto nel sonno, ma il suo carisma vivrà per sempre. Facile piangerlo, impossibile dimenticarlo e metterlo in un cassetto della memoria delle “cose” mortali. Il suo è stato un trapasso, ma gli occhi e la mente di tutti coloro che lo hanno amato nei suoi film lo ricorderanno per sempre bello, bravo, affascinante, capace di passare dal western alla commedia romantica e al poliziesco in un batter d’occhio.
Anche sotto la Mole, dove a novembre si terrà il Torino Film Festival nel nome dell’amico Paul Newman (morto nel 2008), il sistema cinema si mette in lutto. E si mette in lutto lo stile piemontese portato in auge proprio dal divo e dal suo grande amore per il Borsalino, come è risaputo, e come è sottolineato nel film “Borsalino City” dedicato, appunto, al mitico copricapo nato in Piemonte.
“Con Robert Redford scompare un uomo che ha incarnato il mito e la grazia del cinema: attore magnetico, regista capace di intimità e fondatore di un festival (il Sundance, ndr) che ha cambiato il destino dei film indipendenti – spiega il direttore del Torino Film Festival, Giulio Base –. Il suo volto al sole, tra ribellione e dolcezza, resterà per sempre un faro. La sua scomparsa renderà ancora più emozionante, al nostro Torino Film Festival, rivedere “Butch Cassidy and the Sundance Kid” (Butch Cassidy) e “The Sting” (La stangata), i due capolavori che condivise con Paul Newman”.
“Per molti Robert Redford resterà sempre Sundance Kid, spirito libero e sfrontato. Per altri sarà il “Condor” braccato per tre interminabili giorni. Ma tra i tanti personaggi a cui ha dato vita, il Sundance Festival resta per me il suo capolavoro. Se generazioni di spettatori si sono lasciate cullare dai suoi occhi gentili e il suo sorriso aperto, è la sua visione sull’industria cinematografica americana tradottasi in uno spazio protetto dove gli artisti indipendenti possano far sentire la propria voce che renderà la figura di Redford unica ed essenziale. Proprio a Park City avevo avuto modo di incontrarlo e scambiare due battute. Mi aveva raccontato che il Festival di Locarno era stato una delle fonti d’ispirazione per il suo Sundance; io avevo replicato che il modello preso a spunto era stato ampiamente superato. E proprio ora che il festival si appresta a celebrare la sua ultima edizione ai piedi delle montagne dello Utah, l’assenza del suo spirito guida suona come un segno del destino”, aggiunge Carlo Chatrian, direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino.
“Per la mia generazione Robert Redford ha incarnato il mito dell’America libera, bella e talentuosa. Quest’anno abbiamo due occasioni per ricordarlo. Nella commedia “A piedi nudi nel parco” ha accanto una bravissima e stupenda Jane Fonda, i cui ritratti di Angelo Frontoni saranno nella mostra “Pazza idea” che inauguriamo al Museo Nazionale del Cinema sabato 20 settembre. E poi come dimenticare “Butch Cassidy” e “La Stangata”, i due film realizzati con Paul Newman, al quale è dedicata l’immagine guida del 43 Torino Film Festival e la retrospettiva. Per me resta un grande uomo e sono sicuro che verrà ricordato per il suo impegno civile e per aver dato voce e valore a quel cinema americano indipendente che tanto ha caratterizzato la sua America”.
Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema di Torino.
Divo del grande schermo, diventato poi regista premio Oscar, Redford ha girato film di successo che hanno spesso aiutato l’America a comprendere sé stessa. Fuori dal set, l’idolo di “Come eravamo”, “Tutti gli uomini del Presidente”, “I tre giorni del Condor” e “La stangata” si era poi fatto portavoce di cause ambientali e aveva promosso il movimento del cinema indipendente legato al festival di Sundance. Alla svolta dei 40 anni si era dedicato alla regia e aveva vinto un Oscar già con la sua opera prima, “Gente comune” (1980), sulla disgregazione di una famiglia dell’alta borghesia dopo la morte di un figlio. “Gente comune” ottenne altri tre Oscar, incluso quello per il miglior film, ma forse il suo maggiore impatto fu come pioniere e promotore del cinema indipendente.
Nel 1981 aveva fondato il Sundance Institute, un’organizzazione non profit dedicata a coltivare nuove voci cinematografiche. Tre anni dopo aveva poi rilevato un festival cinematografico in difficoltà nello Utah e, qualche anno più tardi, lo aveva ribattezzato con il nome dell’istituto. Nel 2002 vinse anche un Oscar onorario.
Nato a Santa Monica (California) da Marta W. Hart, casalinga, e dal padre Charles Robert, lattaio di origine irlandese, Redford vede morire la madre a soli 41 anni, abbandona così gli studi nel 1956 e parte per l’Italia e la Francia, per misurarsi con la vita d’artista. Redford è perfetto in tutti i ruoli (tranne forse in quelli da cattivo). Incarnava meglio infatti l’eroe positivo, romantico, quello che ogni mamma americana vorrebbe come genero. Nel 1958, dopo alcuni ruoli in serie tv (“Gli intoccabili”, “Perry Mason”, “Alfred Hitchcock presenta” e “Ai confini della realtà”), esordisce sul grande schermo nel 1962 con “Caccia di guerra”, nel cui cast c’è anche Sydney Pollack che poi, da regista, ne farà il suo attore feticcio.
Successivamente interpreta film di buon successo: tra questi vanno annoverati “Lo strano mondo di Daisy Clover” (1965) di Robert Mulligan, al fianco di Natalie Wood, che gli fece ottenere un Golden Globe come miglior attore debuttante; “La caccia” (1966) di Arthur Penn, dove recita accanto a Marlon Brando, James Fox e Jane Fonda; “Questa ragazza è di tutti” (1966), ancora in coppia con la Wood, che segna l’inizio della collaborazione tra Redford e il regista Sydney Pollack; e “A piedi nudi nel parco” (1967) di Gene Saks, dove ritrova la Fonda e un ruolo già interpretato a Broadway. Ma è nel 1969 che si fa notare a livello internazionale, interpretando, insieme a Paul Newman, “Butch Cassidy” di George Roy Hill. Il film ottenne numerosi elogi dalla critica e ottimi incassi, diventando così uno dei migliori film western di sempre. Il film segnò anche l’inizio della amicizia tra Redford e Newman.
Gli anni Settanta sono quelli in cui si consacra con “La stangata”, “Il grande Gatsby” e “I tre giorni del Condor”, solo per citarne alcuni. E poi gli anni Ottanta e Novanta, dove Redford non più giovane regala ancora emozioni in “La mia Africa”, “L’uomo che sussurrava ai cavalli”, “Proposta indecente”. Un successo infinito, un’arte in continua evoluzione culminata con l’Oscar alla Carriera e il Leone d’Oro alla Carriera. Era il 2017, lo ritirò con Jane Fonda. L’anno dopo disse addio alle scene, ma la storia era già scritta.
Nel 1958 si sposò con Lola Van Wagenen e l’anno seguente nacque il figlio Scott, che morì improvvisamente due mesi dopo per una sindrome letale infantile. Ebbe altri due figli: Shauna e James, quest’ultimo morto di tumore nel 2020. La terza figlia, Amy, nacque nel 1970. Nel 1985 divorziò dalla moglie. Nel 2009 sposò l’artista tedesca Sibylle Szaggars.
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