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Il progetto

Energia pulita in un container: il Politecnico lavora all'idrogeno del futuro

Finanziamento da 7,7 milioni per un progetto che vuole rendere l'idrogeno rinnovabile più economico e accessibile

Energia pulita in un container: il Politecnico lavora all'idrogeno del futuro

Immaginate un impianto energetico delle dimensioni di un container, trasportabile ovunque serva, che può sia produrre elettricità sia generare idrogeno pulito. Non è fantascienza, ma il risultato di una ricerca europea a cui partecipa il Politecnico di Torino, con un finanziamento complessivo di 7,7 milioni di euro.

Il progetto si chiama 24_7 ZEN ed è coordinato dall'Institut de Recerca en Energia de Catalunya di Barcellona. L'Unione europea, attraverso la Clean Hydrogen Partnership, ha stanziato 5,5 milioni di euro, mentre la Svizzera ne ha aggiunti altri 2,2 milioni. Il tempo a disposizione è di 36 mesi per dimostrare che questa tecnologia può funzionare davvero e integrarsi con le reti elettriche e del gas naturale.

Il lavoro si concentra su tre aspetti principali. Il primo è l'innovazione dei componenti, fondamentale per far durare l'impianto più a lungo e renderlo più efficiente. Il secondo è l'integrazione: prima bisogna far funzionare tutto dentro un container, poi collegare il sistema alle reti esistenti. Il terzo elemento è la collaborazione tra università, centri di ricerca e aziende private, che mettono insieme competenze diverse per risolvere i problemi tecnici.

A spiegare il progetto è Federico Smeacetto, docente del Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico e responsabile scientifico per l'ateneo torinese. Il sistema sviluppato ha una caratteristica particolare: è reversibile. Significa che può trasformare energia chimica in elettricità, ma anche fare il contrario, utilizzando energia elettrica e vapore acqueo per produrre idrogeno e ossigeno.

La dimensione contenuta dell'impianto è uno dei suoi punti di forza: sta in un container e può essere trasportato e installato dove serve. Il prototipo verrà testato a Salonicco, in Grecia, presso il CERTH (Centre for Research and Technology), uno dei 14 partner internazionali coinvolti nel progetto.

Il professor Smeacetto spiega che i materiali all'interno delle celle lavorano a temperature altissime, circa 750 gradi. Per proteggerli, i ricercatori hanno sviluppato un rivestimento ceramico speciale che viene applicato con una tecnica chiamata elettroforetica. In pratica, si usa un campo elettrico per far aderire particelle ceramiche sulla superficie dei componenti metallici. Poi queste particelle vengono "saldate" con un trattamento termico innovativo che crea uno strato protettivo compatto e resistente. Il vantaggio? «Otteniamo in pochi minuti un risultato che con i metodi tradizionali richiederebbe ore», spiega Smeacetto.

Il progetto è ancora in corso e punta a un traguardo ambizioso: creare un modello di impianto che possa essere replicato e ingrandito, fino a realizzare strutture da diversi megawatt. L'idea è rendere la produzione di idrogeno rinnovabile più economica e accessibile, contribuendo così agli obiettivi europei di neutralità climatica e di riduzione della dipendenza dai combustibili fossili.

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