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L'INCHIESTA

Emergenza alcolici tra gli adolescenti: ogni due giorni un minore in ospedale

Dopo il Covid sono tornati a crescere gli accessi in pronto soccorso per abusi etilici. E spaventa il “binge drinking”: fino a sei bicchieri di superalcolici in poche ore

Emergenza alcolici tra gli adolescenti: ogni due giorni un minore in ospedale

Crescono i consumi di alcolici e superalcolici tra i giovanissimi

Un adolescente minore di diciotto anni finisce in ospedale per un’intossicazione alcolica, in media, ogni due giorni in Piemonte. E l’impressione degli esperti è di un fenomeno tutt’altro che in diminuzione rispetto all’ultima istantanea consegnata al Parlamento dal ministero della Salute, lo scorso anno, sugli accessi al pronto soccorso dovuti a una diagnosi, principale o secondaria, legata all’abuso di alcol in particolare tra i giovani.

Solo in Piemonte, infatti, almeno 185 giovani al di sotto dei diciassette anni si sono rivolti ai sanitari in emergenza nell’ultima rilevazione condotta nel 2020 con un incremento che si stima attorno al 30% nei due anni successivi. E la più recente rilevazione relativa al 2021 dell’Istituto superiore di sanità fotografa circa 83mila minori in Italia, che non dovrebbero ricevere in vendita o somministrazione bevande alcoliche e che invece la ricevono per intossicarsi. E di questi circa 24mila hanno un’età compresa tra 11 e 14 anni. Sono i cosiddetti “binge drinkers” che puntano, più che ad una occasionale ebbrezza, ad una vera e propria “abbuffata alcolica”

«Sicuramente l’alcol è la prima sostanza con cui i giovani approcciano, anche per la facilità di reperimento dal momento che è legale, benché vietato ai minori: non si rendono conto del pericolo perché, soprattutto nell’adolescenza, si sentono invincibili» conferma la dottoressa Nadia Gennari, responsabile del servizio Onda dell’Asl Città di Torino che si occupa proprio delle dipendenze dei più giovani. Soltanto tra San Giovanni Bosco, Maria Vittoria e Martini gli accessi al pronto soccorso tra gennaio 2022 e maggio 2023 sono stati almeno 44. «Non mi stupisce ma lascia sconcertati pensare che, come raccontano oggi le cronache, un quattordicenne sia svenuto per il troppo alcol, ma è una questione culturale legata all’idea di “festa” che per i più giovani pare non possa prescindere dallo “sballo” o una forma di stordimento».

Allargando appena il campo e spostando più avanti l’età fino ai 35 anni, basta osservare come all’ospedale Mauriziano di Torino dove è attivo uno dei più importanti centri dedicati all’alcolemia in Italia, siano tornate a crescere le urgenze, passate da 181 accessi al pronto soccorso del 2020, ai 168 del 2021 crescendo fino a 253 nel 2022. «E anche quest’anno, almeno per ora, l’andamento non sembra migliorato granché» chiosano dal Centro Alcologico Mauriziano, senza bisogno di precisare che al di sotto dei 18 anni il consumo dovrebbe corrispondere ad un “tasso zero”. A dominare la “classifica” delle bevande più consumate tra 11 e 17 anni sono la birra (74,4% tra i maschi e 54,2% tra le femmine) seguiti dagli aperitivi alcolici (56,6% tra i maschi e 66% tra le femmine).

Nella sua ultima ricerca l’Istituto Superiore di Sanità ha calcolato che in Italia i cosiddetti “binge drinkers” - consumatori che bevono per ubriacarsi - sono circa 3 milioni e mezzo, soprattutto maschi di tutte le età. Oltre 24mila hanno tra 11 e 15 anni di età, con frequenze nelle ragazze di poco inferiori (0,7%) rispetto a quelle dei coetanei (1.0%) e oltre 58.000 tra 16 e 17 anni (5% maschi e 4,2% femmine) che si sono ubriacati, identificando una platea di circa 83mila minori che non dovrebbero ricevere in vendita o somministrazione bevande alcoliche e che invece la ricevono per intossicarsi. Una modalità di consumo che sembra cresciuta soprattutto tra le donne. Le percentuali di “binge drinkers” di entrambi i generi aumentano nell’adolescenza e raggiungono i valori massimi tra 18 e 24 anni per poi diminuire nuovamente nelle età più anziane, raggiungendo, dopo i 75 anni, valori del 3,3% tra gli uomini e dello 0,6% tra le donne. La percentuale di sesso maschile è statisticamente superiore a quella di sesso femminile in ogni classe di età a eccezione dei giovani.

«Tra i nostri giovani possiamo affermare che la cosiddetta “iniziazione alcolica” avvenga a undici anni e la prima intossicazione, vera e propria, attorno ai quattordici». Il dottor Marco Iudicello del Centro Alcologico Mauriziano ricordando uno degli episodi che più lo hanno colpito nei mesi del “lockdown” in piena pandemia Covid. «Quello è stato il periodo in cui abbiamo visto meno accessi al pronto soccorso per abuso di alcol per ragioni oggettive ma credo proprio che il consumo non sia calato, anzi. Per questo abbiamo registrato, lo scorso anno, nuovamente un incremento di richieste d’aiuto. In quei mesi, però, ricordo che arrivò in ospedale una ragazzina di appena diciassette anni con una forte intossicazione da alcol dopo aver festeggiato in casa con delle amiche». Una delle tante storie di adolescenti che, nella maggior parte dei casi, sembrano ignorare gli effetti a lungo termine dell’alcol. «Sicuramente il livello di assunzione dei minori deve essere pari a zero ma sappiamo bene che non è così per tutti, preoccupa molto di più la modalità di assunzione e le strategie di vendita che alcuni locali notturni applicano senza considerarne i pericoli» aggiunge Iudicello.

«Penso, ad esempio, alle promozioni per cui con dieci euro o poco più si possono consumare cinque “chupito” o diversi “cocktail” che sono delle vere e proprie mine pronte ad esplodere in un corpo giovane. Sopratutto perché non si considera un fattore fondamentale, noi pensiamo alla maggiore età come al completamento dello sviluppo, per cui a diciotto anni si è considerati adulti. Ma se questo può essere vero perché, attorno a quell’età si completa la maturazione a livello scheletrico e muscolare, il cervello comincia solo allora a completare la propria rete di collegamenti neuronali ed è un processo che dura ben oltre i vent’anni. Perciò, se proprio in quel periodo di vita si abusa di alcol, gli effetti possono essere decisamente più gravi di una banale ubriacatura». E non bisogna lasciarsi trarre in inganno dal fatto che le dosi dei cosiddetti “chupito” siano quelle di un bicchierino da caffé. «È proprio l’opposto, infatti» conferma il dottore. «L’assunzione di superalcolici in dosi così concentrate e a raffica è qualcosa di molto pericoloso. Non si tratta di bere per piacere, magari un bicchiere di vino durante il pasto o una birra rinfrescante quando fa particolarmente caldo, ma cercare un vero e proprio stordimento immediato che, oggi, si lega a doppio filo ad una idea distorta di divertimento. E questo è un problema sociale poco considerato che dovrebbe, invece, allarmarci».

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