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11 Marzo 2025 - 21:00
Donald Trump
Negli ultimi mesi, numerosi articoli e inchieste hanno portato alla luce un controverso fenomeno legato alla censura linguistica nell'amministrazione Trump. Secondo il New York Times, il governo avrebbe rimosso o sconsigliato l'uso di centinaia di termini dalle pubblicazioni e dai siti web delle agenzie federali. Tra le parole proibite figurano espressioni legate ai diritti civili, alla giustizia sociale, alle questioni di genere e alla crisi climatica, evidenziando un chiaro intento di ridefinire il linguaggio della pubblica amministrazione secondo un'ottica conservatrice.
L'ironia della situazione risiede nel fatto che per anni il fronte politico repubblicano ha criticato la cosiddetta cancel culture, accusando la sinistra progressista di voler censurare idee e opinioni scomode. Tuttavia, le recenti direttive dell'amministrazione Trump dimostrano una tendenza opposta: non si tratta più solo di contrastare l'uso di determinati termini in ambito accademico o culturale, ma di eliminarli completamente dal linguaggio istituzionale.
Questa politica di rimozione linguistica si riflette in una lista di parole vietate o fortemente sconsigliate, tra cui figurano concetti come diversità, inclusione, uguaglianza, identità di genere, crisi climatica, razzismo sistemico e persino energia pulita. Il divieto colpisce trasversalmente numerosi settori, dalla salute pubblica all'istruzione, dalla giustizia sociale all'ambiente.
Le principali categorie linguistiche censurate riguardano tematiche considerate sensibili dalla destra conservatrice:
Identità di genere e orientamento sessuale: parole come transgender, non-binario e persino LGBTQ+ sono state eliminate o sostituite da versioni ridotte (ad esempio, LGB al posto di LGBTQ+).
Diritti civili e giustizia sociale: termini come razzismo sistemico, uguaglianza e discriminazione sono stati rimossi da molte comunicazioni ufficiali.
Ambiente e crisi climatica: espressioni come crisi climatica, energia pulita e scienza del clima sono scomparse dai siti istituzionali dell'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente (EPA) e di altri enti governativi.
Questa campagna di rimozione lessicale ha suscitato forti reazioni da parte di esperti, accademici e attivisti per i diritti umani. Molti osservatori hanno sottolineato il rischio di una progressiva erosione della libertà di parola all'interno delle istituzioni, con un effetto a catena che potrebbe portare all'autocensura per evitare sanzioni o critiche. Inoltre, la manipolazione del linguaggio può influenzare il dibattito pubblico, rendendo più difficile affrontare tematiche fondamentali come la giustizia sociale e la crisi climatica.
Non si tratta solo di una questione linguistica, ma di una strategia politica più ampia. La rimozione di certi termini dai documenti ufficiali ha l'effetto di spostare il dibattito su binari più favorevoli alla destra conservatrice, impedendo la normalizzazione di concetti legati all'inclusione e alla diversità. Questo fenomeno potrebbe avere ripercussioni durature anche sulle future amministrazioni, costringendo a un lavoro di ripristino del linguaggio istituzionale che potrebbe richiedere anni.
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